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Presentazione del libro “Pid,proletari in divisa 1969-1976”
di Armando Todesco ,C.s.t. Milano 2001 ,pag.316
Sull’onda del 68 nacque negli anni successivi un movimento di
contestazione dentro alle caserme .
Gli studenti che avevano prima vissuto il 68 nelle università si
trovavano subito nelle caserme un una volta che dovevano assolvere il
servizio militare .
Non potevano certamente far finta di niente ed allora ecco nascere le
prime analisi
sulle funzioni dell’ apparato militare in Italia e nel mondo .
Le riflessioni attorno a questo tema arrivavano ben presto alla
definizione del ruolo dell’esercito nella societa’ :non un organismo
proiettato verso l’esterno ,verso eventuali interventi militari come
nel caso di aggressioni di stati esterni all’Italia ,ma verso
l’interno e la storia dell’esercito e della vita all’interno nei
decenni passati lo stava a dimostrare .
L’esercito equivaleva alla scuola ,era come la famiglia ,era come la
religione ,era come la fabbrica, era come l’universita’:strumento
della classe dominante per fini di potere
e per mantenere il dominio .
Per finta l’esercito era prevalentemente schierato sui confini con la
Yugoslavia nella regione del Friuli regione piena di caserme e con una
gran parte del territorio sotto il controllo dell’esercito .
Iniziano le prime proteste nelle caserme del Friuli che nei mesi
portera’ alla creazione di una rete di piccole cellule contestative in
tantissime caserme che fara’ tremare il potere della gerarchia militare
.
Tutto il movimento inizio’ grazie ai militanti di Lotta continua e il
giornale fece nascere anche un giornale dedicato alle lotte nelle caserme
che uscira’ con una cadenza quindicinale ma con un a diffusa presenza .
Sara’ questo l’obbiettivo della caccia e della repressione delle
gerarchie militari .
Giornalmente si verificano gli scioperi dei pasti .
La gerarchia militare ,dopo un primo momento di incertezza , prende i
provvedimenti
con arresti .
Centinaia di militanti Pid nelle caserme sono arrestati e moltissimi
condannati al carcere militare di Gaeta .
(E’ utile dire che anche dai carceri militari si iniziava a organizzare
la protesta per la qualita’ della vita in particolare per merito del
partito radicale che organizzo’ manifestazioni davanti al carcere
militare di Peschiera del Garda ).
Il movimento dei Proletari in divisa ,Pid ,riuscì anche a trovare dei
momenti per farsi notare pubblicamente facendo partecipare molti militanti
dei pid con il fazzoletto rosso sulla viso alle manifestazioni per il
25 aprile dell’ anno 1975 .
Le forze politiche prima appoggiarono la repressione e ignorarono il
movimento, ma negli anni successivi si dettero da fare e come Ministero
dell’esercito si propose la creazione di discutere sull’ipotesi di
organismi di rappresentanza dove nero su bianco si dettero alcuni diritti
sul rapporto rapporto con le gerarchie e diritti e spazi di discussione ai
soldati .
Questo fu poi il risultato finale e istituzionale di questo vasto
movimento che si cerco’
in tutti i modi di nascondere sia dal governo sia dalla sinistra
istituzionale che lo osteggio’ .
Sostanzialmente si creò una legge a favore di una migliore e piu’
proficua collaborazione tra soldati e soldati e gerarchie ,ma fino al
punto in cui non si andasse al di la’ della soglia del mantenimento dei
fini ultimi dell’esercito che doveva rimanere quello di sempre :un mezzo
per misurare l’affidabilita’ al sistema democratico e individuare i
diversi per metterli nei terreni dell’emarginazione sociale o in carcere
.
Nell’esercito si e’ verificato cio’ che accadde anche nell’universita’
che aveva lo scopo di raffreddare il 68 con organismo per dare sfogo alle
critiche ma nei limiti della regolarita’ del funzionamento delle
istituzioni che in fondo significava che le cose rimasero nella sostanza
allo stesso modo :una pennellata di organismi per ascoltare di piu’ i
contestatori aprendo
alle condizioni sociali e politiche su cui il mondo politico non si poteva
tirare piu’ indietro
e basta .
A.Tod.
http://duemilaragioni.myblog.it/archive/2008/04/21/armando-todesco-i-pid-proletari-in-divisa.html
Il Movimento dei Sottufficiali Democratici
La riforma del regolamento di disciplina e il riconoscimento dei
“diritti di cittadinanza”, cioè quei diritti garantiti dalla
Costituzione repubblicana a tutti i cittadini italiani, erano le
motivazioni principali del “movimento” che si stava formando nelle
caserme italiane, in particolare in quelle dell’Aeronautica. Accanto a
queste rivendicazioni ve ne erano anche, come ovvio, alcune di carattere
economico.
Ma quali erano le origini di queste rivendicazioni? Da dove proveniva la
richiesta di cambiamento che, in maniera sempre più forte cominciava a
levarsi tra le fila dei soldati italiani? E perché queste richieste erano
più forti nell’Aeronautica che nelle altre Forze armate?
Le prime esigenze di una sindacalizzazione del personale militare, si
manifestarono, in Italia come nel resto d’Europa, all’inizio degli
anni ’50. “Nacquero così le prime associazioni professionali di
categoria dei militari in congedo, con l’obiettivo precipuo di tutelare
gli interessi del personale. Gli stessi, nel 1969, si unirono dando
origine all’ANAM (Associazione Nazionale Autonoma Militari)” . Da
questa associazione, che aveva nel “Giornale dei Militari” diretto da
Giorgio Castellano, il suo organo di stampa, nacque, nel dicembre 1972, il
SINAM (Sindacato Nazionale Autonomo dei Militari); nell’ottobre 1974 il
SINAM aderisce all’UNSA (Unione dei Sindacati Autonomi), organizzazione
vicina alla destra democristiana e sostenuta anche da parlamentari
socialdemocratici che si “affezionano” particolarmente al SINAM .
Questa vicinanza ad ambienti considerati conservatori se non addirittura
reazionari, che permetteva al SINAM di avere molta visibilità e poche
difficoltà da parte delle gerarchie militari e dagli organi giudiziari,
fu molto contrastata dal movimento che stava nascendo nelle caserme e che
non si riconosceva nelle posizioni, nelle affermazioni e nelle protezioni
di cui godevano il SINAM e i suoi dirigenti.
Le prime rivendicazioni di carattere politico e sociale nelle Forze
armate, cominciano, tra i soldati di leva. “Nella primavera del 1970
presso il CAR (Centro Addestramento Reclute) di Casale 800 reclute
manifestarono contro le penose condizioni igienico-sanitarie della caserma
e il duro regime di vita loro imposti. Queste proteste, e quelle dei mesi
successivi, trovano spazio tra i movimenti e i partiti della sinistra
extraparlamentare e, nello stesso anno, al congresso nazionale tenuto a
Torino, Lotta Continua lancia l’organizzazione del movimento dei
“Proletari in divisa”. Il movimento di protesta dei soldati si
diffonde in tutta Italia con punti di forza in Friuli e nelle grandi città.
La reazione delle gerarchie militari, in parte sorprese da quanto stava
avvenendo nelle caserme, fu di tipo repressivo; ricorrendo a provvedimenti
amministrativi come i trasferimenti punitivi e le punizioni disciplinari,
lasciate dal regolamento alla assoluta discrezionalità dei comandanti, si
cercava di colpire gli elementi più in vista e più capaci di aggregare
le proteste. A favore delle gerarchie sembrava poi giocare anche il rapido
avvicendamento dei contingenti che impedisce di rafforzare le conquiste
ottenute dal movimento.
La novità nella protesta dei “proletari in divisa”, destinata anche
ad abbattere il muro di separazione tra caserme e società civile, fu
certamente “la denuncia del ruolo repressivo dell’apparato militare
nella politica interna, la preparazione di un intervento armato e le
minacce di golpe” . Nello stesso tempo crebbe anche l’attenzione delle
forze politiche verso le Forze armate, anche se il movimento dei militari
incontrò sempre forti resistenze a un concreto riconoscimento e sostegno
da parte del più importante partito della sinistra italiana, il Partito
Comunista (e questa “avversione”, come vedremo in seguito, è rimasta
impressa nelle radici dei partiti succeduti al P.C.I.)
Nel 1975 il movimento dei militari ricevette un’altra spinta verso
l’accentuazione delle lotte e delle proteste: scesero in piazza i
sottufficiali, in particolar modo i sergenti ed i marescialli
dell’Aeronautica. Questi erano circa un terzo di tutti i sottufficiali
delle Forze armate, ma avevano una formazione culturale molto diversa
dagli altri. L’Aeronautica era la componente più moderna delle nostre
forze armate; l’alto livello tecnologico dei sistemi d’arma utilizzati
imponeva una selezione ed una formazione del personale molto più attenta
alle capacità ed alle conoscenze culturali dei giovani da arruolare, ciò
fece si che le contraddizioni tra capacità professionali d’avanguardia,
pagate molto meglio nel mondo del lavoro “civile”, e uno status
sociale che non riconosceva questa professionalità, esplodessero in
Aeronautica prima che nel resto delle forze armate italiane.
La prima manifestazione venne organizzata in concomitanza delle
celebrazioni per il trentennale della Liberazione, il 25 aprile 1975:
“la partecipazione di soldati in divisa, col volto coperto da un
fazzoletto alle manifestazioni del 25 aprile suscita grande scalpore e
sembra rilanciare le lotte nelle caserme” . Il culmine di queste
manifestazioni si raggiunge nel successivo mese di giugno. Giovedì 26
giugno, a Roma “circa trecento sottufficiali dell’Aeronautica si
radunano Piazza Venezia, essi chiedono tutta una serie di rivendicazioni a
carattere economico e normativo. E’ una delle poche manifestazioni […]
che i sottufficiali dell’aeronautica hanno tenuto in questi mesi. Questa
volta però entrano in scena […] i carabinieri” .
Un giovane sergente, Giuseppe Sotgiu, apostrofa le persone in borghese che
fotografavano e riprendevano la manifestazione, quando scopre di avere di
fronte dei carabinieri è troppo tardi: viene arrestato e finisce in
galera con l’accusa di insubordinazione. Ma l’episodio accresce la
tensione e nei giorni e mesi successivi una grande mobilitazione avrà
luogo in tutte le basi dell’Aeronautica: a Treviso, a Cameri, a Milano,
a Pordenone, a Rivolto, a Grosseto, a Pisa, a Roma, l’arresto di Sotgiu
diventa così “la scintilla che fa divampare l’incendio” .
Il giorno 8 luglio il sergente Sotgiu viene condannato, dal tribunale
militare di Roma, a due anni di reclusione con la sospensione della pena
per cinque anni, i difensori presentano appello e il giorno successivo il
Corriere della Sera titola “La condanna di Sotgiu acuisce il malcontento
dei sottufficiali”.
Non sarà l’unico caso di sottufficiale denunciato alla magistratura
militare e sottoposto a giudizio, altri ne seguiranno, ma il movimento
resterà saldo e compatto, opponendosi ancora fermamente alla proposta di
riforma del regolamento di disciplina nota come “Bozza Forlani”, dal
nome del ministro della Difesa pro-tempore, Arnaldo Forlani. Il 17
settembre 1975 l’assemblea nazionale del Coordinamento Sottufficiali
Democratici Aeronautica Militare (CSDAM), vota un documento nel quale si
chiede: “la revisione della bozza Forlani con la eliminazione di tutte
le norme in contrasto con i diritti civili e politici dei cittadini;
l’approvazione da parte del Parlamento e non con un decreto
presidenziale, del nuovo regolamento di disciplina; un rapporto stabile
tra le commissioni difesa del parlamento e i delegati eletti nelle
assemblee dei sottufficiali” . Poi, dopo una lunga serie di
manifestazioni e di astensioni dalle mense, seguite da denunce e da
centinaia di autodenunce, strumento usato dai sottufficiali per esprimere
la solidarietà a quanti venivano direttamente colpiti dai tentativi di
normalizzazione portati avanti dagli Stati Maggiori, il 27 marzo 1976,
tremila militari in divisa, in maggior parte sottufficiali
dell’Aeronautica, manifestano per le strade di Milano. La manifestazione
riceve il sostegno di CISL, UIL, del PSI, dei radicali, e dei gruppi della
sinistra extraparlamentare; CGIL e PCI rifiutano il loro appoggio. “Il
Partito Comunista definisce con molta fermezza la sua posizione,
giudicando pericolosa e avventurista la marcia attraverso Milano. Un
gesto, scriverà “l’Unità” che isola i sottufficiali” .
Intanto, in contrapposizione al CSDAM, nasce all’interno delle basi
aeronautiche della Sardegna, il Movimento Autonomo Sottufficiali
Aeronautica (M.A.S.A.). Estremamente critico con i governi succedutisi in
quegli anni, questo gruppo di sottufficiali accusa il Coordinamento di
essere oggetto della sovversione comunista. Il MASA elabora una propria
piattaforma programmatica che ricalca, in parte, quella già espressa dal
CSDAM. Le richieste del MASA, movimento vicino alla destra parlamentare,
verranno pubblicate sul quotidiano cagliaritano “Tuttoquotidiano” del
6.10.1975 . Il MASA non riuscirà ad aggregare intorno alle sue proposte i
sottufficiali dell’Aeronautica e resterà un fenomeno limitato alla
Sardegna.
Le diverse posizioni della sinistra italiana incideranno anche sulla
capacità di coesione del movimento dei sottufficiali democratici, ma il
primo colpo alla compattezza nata dalle lotte comuni, arriverà proprio
dalla proposta di legge Lattanzio – succeduto a Forlani a capo del
ministero della Difesa – che sarà poi conosciuta come “legge dei
principi”. Presentata nel settembre 1976, rappresentava una prima
vittoria del movimento in quanto riconosceva la richiesta dei
sottufficiali democratici di fissare con una legge i principi ispiratori
del nuovo regolamento di disciplina. La proposta Lattanzio diventerà il
punto di confronto e scontro sia all’interno del movimento che al suo
esterno, fino a favorire la divisione tra contrari e favorevoli al nuovo
istituto di rappresentanza. Tale divisione porterà il movimento alla sua
conclusione e, per certi versi, è ancora evidente nelle differenze che
esistono tra quanti chiedono, oggi, una riforma in senso sindacale e
quanti, invece, vorrebbero ancora uno strumento tutto interno
all’organizzazione militare.
http://www.facebook.com/topic.php?uid=40931371626&topic=15704
Prendiamoci le città
Questa nostra lotta è la lotta di chi
non vuole più servir
di chi è ormai cosciente della forza che ha
e non ha più paura del padrone
di chi vuol trasformare il mondo in cui viviamo
nel mondo che vogliamo
di chi ha ormai capito che è ora di lottare
che non c'è tempo di aspettare
Dalle fabbriche in rivolta
un vento soffia già, ovunque arriverà
è proprio un vento rosso che non si può fermare
e unisce chi ha deciso di lottare
Per il comunismo, per la libertà
prendiamoci la città
per il comunismo, per la libertà
prendiamoci la città!
Se occupa le case chi non ce le
ha unisce tutta la città
si lotta nei quartieri per non pagare i fitti,
difendere le case dagli sfratti
si lotta e si vive in maniera comunista,
non c'è posto per il fascista
la giustizia proletaria ricomincia a funzionare
con il processo popolare
Dalle fabbriche in rivolta...
Proletari in divisa si ribellano perchè
hanno capito che
anche la caserma come la prigione
è un'arma del padrone
e la loro lotta avanza con la nostra unità
verso la libertà
dai quartieri alle caserme, dalla fabbrica alla
[scuola,
è tutta una lotta sola
Dalle fabbriche in rivolta...
La scuola dei padroni non funziona più
ma solo come base rossa
la cultura dei borghesi non ci frega più,
l'abbiamo messa nella fossa
Anche nelle galere della repressione
cresce l'organizzazione
svuoteremo presto tutte le prigioni
per fare posto a tutti i padroni
Dalle fabbriche in rivolta
un vento soffia già, ovunque arriverà
è proprio un vento rosso che non si può fermare
e unisce chi ha deciso di lottare
Per il comunismo, per la libertà prendiamoci la città
per il comunismo, per la libertà prendiamoci la città!
Per il comunismo, per la libertà prendiamoci la città
per il comunismo, per la libertà prendiamoci la città!
Per il comunismo, per la libertà prendiamoci la città
per il comunismo, per la libertà prendiamoci la città!
http://www.ildeposito.org/archivio/canti/canto.php?id=802
La
Rappresentanza Militare e le relative proposte di riforma tesi
http://www.tesionline.com/intl/pdfpublicview.jsp?url=../__PDF/24089/24089p.pdf
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INTRODUZIONE
La rappresentanza dei militari, intesa come “un sistema […] attraverso
il quale […] il personale militare esprime pareri, formula richieste ed
avanza proposte, prospettando istanze di carattere collettivo”, nel 2008
compie trent’anni. Nel corso di questi sei lustri, due generazioni di
militari si sono alternate e una terza generazione si sta apprestando a
entrare in gioco.
La prima generazione è scesa in piazza, ha preso parte alla grande
stagione della contestazione degli anni ’70 e alla fine è riuscita ad
ottenere, parzialmente, quello che chiedeva: l’applicazione della
Costituzione con relativo riconoscimento dei “diritti di cittadinanza”
anche per i militari, forme di rappresentatività e democratizzazione del
sistema gerarchico, forme di partecipazione, condivisione e collaborazione
con i comandanti, possibilità di avere contatti e relazioni con la
politica. Poi ha fatto di tutto per rafforzare lo strumento
rappresentativo
La seconda generazione è quella che sta cercando di modificare la
rappresentanza militare: sono quelli che restano della prima generazione,
alcuni sono già in congedo, insieme ai loro “nipoti”; sono quelli che
hanno fatto crescere il numero di associazioni non riconosciute; sono
quelli che hanno cominciato ad usare internet; sono quelli che, tornando
sulle richieste di chi li ha preceduti, stanno chiedendo, ancora una
volta, la trasformazione in sindacato della Rappresentanza militare.
La terza generazione è appena comparsa in scena. E’ la generazione più
complessa, perché la società è diventata più complicata, le Forze
armate hanno perso la leva, e si è innalzato il livello culturale. Infine
perché, finalmente, tra le componenti attive in prima linea si vedono
anche gli ufficiali. E sono ufficiali che appartengono più alla seconda
generazione che alla terza.
Potrebbe essere questa la generazione che porta a compimento la riforma
della Rappresentanza Militare?
CAPITOLO 1 – RAPPRESENTANZA MILITARE: LE ORIGINI
1. Il Regolamento “Andreotti”, Decreto Presidente della Repubblica
31.10.1964, e la Costituzione repubblicana.
Le Forze armate sono state sempre considerate come un elemento
“estraneo” al contesto giuridico statuale. La loro essenzialità alla
sopravvivenza di uno stato organizzato e la necessità di tenerle lontane
dalla gestione diretta del potere, ha permesso loro di diventare un corpo
altro rispetto al resto dell’ordinamento statale. Da questi presupposti
è nata e si è sviluppata la concezione della necessità di stabilire,
per la società militare, norme regolamentari che fossero più stringenti
e più cogenti rispetto a quelle che governavano la società civile.
Tutti i regolamenti disciplinari degli eserciti, almeno fino al secondo
dopoguerra, riconoscevano, per i militari, delle forti limitazioni alle
libertà civili riconosciute agli altri cittadini dello stato. Uguale
criterio venne scelto nel 1964 dall’allora ministro della Difesa, Giulio
Andreotti, per riscrivere il Regolamento di Disciplina Militare, valido
per tutte le forze armate e corpi armati dello Stato. Tale regolamento,
che aveva come sua unica fonte l’art. 38 del Codice Penale militare di
Pace, dimenticava (volutamente?) l’esistenza della Costituzione
Repubblicana, che pure era in vigore dall’1.1.1948, e conteneva norme
che erano chiaramente in contrasto con la legge fondamentale della
Repubblica italiana. Eppure svolse il suo ruolo, per quasi dieci anni;
poi, a cominciare dai soldati di leva negli anni 1971-72, venne messo in
discussione, e con esso tutto l’ordinamento militare, “attraverso
lettere ai giornali, scioperi della fame, casi di insubordinazione non
violenta che finiscono per raddoppiare la media delle presenze nel carcere
di Peschiera. Poi scendono in campo i sergenti e i marescialli
dell’Aeronautica.”.
Il “regolamento Andreotti” era criticato e attaccato perché ritenuto,
dal movimento dei militari democratici, illegittimo e anticostituzionale
da molti punti di vista. Ad esempio il motivo dell’illegittimità era
dato dalla violazione dell’art. 1 della Legge 31.1.1926, n. 100, che
attribuisce al potere esecutivo la facoltà di emanare norme giuridiche e
il regolamento, che rientrava sicuramente tra quelle norme, non era
passato attraverso la necessaria delibera del Consiglio dei Ministri, né
era stato vagliato dal Consiglio di Stato, come è dimostrabile dalla
semplice lettura del preambolo al regolamento stesso. Inoltre il
regolamento veniva considerato “inefficace” poiché non era mai stato
inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti e non era
stato mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, in violazione del dettato
del Regio Decreto 24.9.1931, n. 1256 “Approvazione del Testo Unico delle
Disposizioni legislative riguardanti la promulgazione e pubblicazione
delle leggi e dei regi decreti” (in G. U. n. 250 del 29.10.1931); infine
veniva evidenziata l’incostituzionalità nelle norme che garantivano
alle autorità militari di tenere in cella di punizione, per settimane e
mesi, i militari, senza alcuna garanzia di difesa o reclamo, in palese
contrasto con l’art. 13 della Costituzione.
Notevoli erano anche le limitazioni alle libertà civili, spesso espresse
in termini talmente generici da permettere facili prevaricazioni da parte
dei comandanti: è il caso dell’art. 46, che proibiva la partecipazione
“ad associazioni i cui fini o la cui attività non siano compatibili con
gli obblighi del giuramento prestato, o possano costituire ostacolo alla
rigorosa osservanza della disciplina”, in evidente contrasto con la
libertà di associazione sancita dall’art.18 della Costituzione; oppure
la norma dell’art. 47, che proibiva ai militari la partecipazione alla
vita politica, con la sola eccezione del caso in cui il militare fosse
stato candidato.
Pesanti limitazioni erano poste pure alla libertà di pensiero e alla
pubblica manifestazione di esso, ancora una volta anteponendo al dettato
costituzionale dell’art. 21, quello regolamentare. Particolarmente
invisa era l’invadenza nella vita privata dei militari, chiaramente
espressa dalla norma dell’art. 49 che, al terzo comma, recitava: “Gli
ufficiali e i sottufficiali in servizio permanente devono porre
particolare cura nella scelta della sposa, tenendo presente l’ambiente
del quale la sposa stessa verrà a far parte”.
Allo stesso modo influenzavano pesantemente la sfera privata del militare,
le norme sulla libera uscita, le licenze, i permessi o comunque relative
alla permanenza fuori dagli apprestamenti militari o dalle imbarcazioni.
2. Il Movimento dei Sottufficiali Democratici.
La riforma del regolamento di disciplina e il riconoscimento dei
“diritti di cittadinanza”, cioè quei diritti garantiti dalla
Costituzione repubblicana a tutti i cittadini italiani, erano le
motivazioni principali del “movimento” che si stava formando nelle
caserme italiane, in particolare in quelle dell’Aeronautica. Accanto a
queste rivendicazioni ve ne erano anche, come ovvio, alcune di carattere
economico.
Ma quali erano le origini di queste rivendicazioni? Da dove proveniva la
richiesta di cambiamento che, in maniera sempre più forte cominciava a
levarsi tra le fila dei soldati italiani? E perché queste richieste erano
più forti nell’Aeronautica che nelle altre Forze armate?
Le prime esigenze di una sindacalizzazione del personale militare, si
manifestarono, in Italia come nel resto d’Europa, all’inizio degli
anni ’50. “Nacquero così le prime associazioni professionali di
categoria dei militari in congedo, con l’obiettivo precipuo di tutelare
gli interessi del personale. Gli stessi, nel 1969, si unirono dando
origine all’ANAM (Associazione Nazionale Autonoma Militari)”. Da
questa associazione, che aveva nel “Giornale dei Militari” diretto da
Giorgio Castellano, il suo organo di stampa, nacque, nel dicembre 1972, il
SINAM (Sindacato Nazionale Autonomo dei Militari); nell’ottobre 1974 il
SINAM aderisce all’UNSA (Unione dei Sindacati Autonomi), organizzazione
vicina alla destra democristiana e sostenuta anche da parlamentari
socialdemocratici che si “affezionano” particolarmente al SINAM.
Questa vicinanza ad ambienti considerati conservatori se non addirittura
reazionari, che permetteva al SINAM di avere molta visibilità e poche
difficoltà da parte delle gerarchie militari e dagli organi giudiziari,
fu molto contrastata dal movimento che stava nascendo nelle caserme e che
non si riconosceva nelle posizioni, nelle affermazioni e nelle protezioni
di cui godevano il SINAM e i suoi dirigenti.
Le prime rivendicazioni di carattere politico e sociale nelle Forze
armate, cominciano, tra i soldati di leva. “Nella primavera del 1970
presso il CAR (Centro Addestramento Reclute) di Casale 800 reclute
manifestarono contro le penose condizioni igienico-sanitarie della caserma
e il duro regime di vita loro imposti. Queste proteste, e quelle dei mesi
successivi, trovano spazio tra i movimenti e i partiti della sinistra
extraparlamentare e, nello stesso anno, al congresso nazionale tenuto a
Torino, Lotta Continua lancia l’organizzazione del movimento dei
“Proletari in divisa”. Il movimento di protesta dei soldati si
diffonde in tutta Italia con punti di forza in Friuli e nelle grandi città.
La reazione delle gerarchie militari, in parte sorprese da quanto stava
avvenendo nelle caserme, fu di tipo repressivo; ricorrendo a provvedimenti
amministrativi come i trasferimenti punitivi e le punizioni disciplinari,
lasciate dal regolamento alla assoluta discrezionalità dei comandanti, si
cercava di colpire gli elementi più in vista e più capaci di aggregare
le proteste. A favore delle gerarchie sembrava poi giocare anche il rapido
avvicendamento dei contingenti che impedisce di rafforzare le conquiste
ottenute dal movimento.
La novità nella protesta dei “proletari in divisa”, destinata anche
ad abbattere il muro di separazione tra caserme e società civile, fu
certamente “la denuncia del ruolo repressivo dell’apparato militare
nella politica interna, la preparazione di un intervento armato e le
minacce di golpe”. Nello stesso tempo crebbe anche l’attenzione delle
forze politiche verso le Forze armate, anche se il movimento dei militari
incontrò sempre forti resistenze a un concreto riconoscimento e sostegno
da parte del più importante partito della sinistra italiana, il Partito
Comunista (e questa “avversione”, come vedremo in seguito, è rimasta
impressa nelle radici dei partiti succeduti al P.C.I.)
Nel 1975 il movimento dei militari ricevette un’altra spinta verso
l’accentuazione delle lotte e delle proteste: scesero in piazza i
sottufficiali, in particolar modo i sergenti ed i marescialli
dell’Aeronautica. Questi erano circa un terzo di tutti i sottufficiali
delle Forze armate, ma avevano una formazione culturale molto diversa
dagli altri. L’Aeronautica era la componente più moderna delle nostre
forze armate; l’alto livello tecnologico dei sistemi d’arma utilizzati
imponeva una selezione ed una formazione del personale molto più attenta
alle capacità ed alle conoscenze culturali dei giovani da arruolare, ciò
fece si che le contraddizioni tra capacità professionali d’avanguardia,
pagate molto meglio nel mondo del lavoro “civile”, e uno status
sociale che non riconosceva questa professionalità, esplodessero in
Aeronautica prima che nel resto delle forze armate italiane.
La prima manifestazione venne organizzata in concomitanza delle
celebrazioni per il trentennale della Liberazione, il 25 aprile 1975:
“la partecipazione di soldati in divisa, col volto coperto da un
fazzoletto alle manifestazioni del 25 aprile suscita grande scalpore e
sembra rilanciare le lotte nelle caserme”. Il culmine di queste
manifestazioni si raggiunge nel successivo mese di giugno. Giovedì 26
giugno, a Roma “circa trecento sottufficiali dell’Aeronautica si
radunano Piazza Venezia, essi chiedono tutta una serie di rivendicazioni a
carattere economico e normativo.
Da quando son partito militare
Da quando son partito militare
sapessi tutto quello che ho passato...
con gli ufficiali sempre a comandare,
è peggio che se fossi carcerato.
Ed i sottufficiali di carriera
devono mantenere la disciplina,
proprio come quel boia d'un caporale
quand'ero a lavorare nell' officina.
Quando non c'è la marcia c'è la guardia,
oppure otto ore da sgobbare,
e quello schifo che ci fan mangiare
è roba che ti fa solo crepare.
E non ti venga in mente di parlare;
o sei contento oppure la galera;
proprio come faceva la questura
quando si andava in piazza a protestare.
Un anno e mezzo, non lamentarti,
devi imparare ad arrangiarti;
cos'è il lavoro, cos'è la fame?
Devi imparare a non lamnentarti.
Quando esci fuori devi stare attento
e in ogni caso niente discussioni;
han fatto apposta quel regolamento
per mantener le loro divisioni;
Con la paura quando siamo fuori
ed i favoritismi se siam dentro;
perché se siamo uniti hanno paura
che noi si possa usare la nostra forza.
Ma noi ci s'organizza per lottare
nella caserma come in officina;
a noi ci tocca sempre di obbedire
e a loro tocca sempre comandare.
La nostra lotta è la lotta di classe
ed è di tutti quanti gli sfruttati;
perciò la lotta dura, tutti uniti
nelle caserme, in fabbrica e quartiere.
http://www.ildeposito.org/archivio/canti/canto.php?id=26
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