DOCUMENTI VARI

 

a) Cronologia in breve

1 luglio 1976: la Filatura di Perosa Argentina diventa Mani-fattura di Perosa spa parte della Manifattura di Legnano.

16 aprile 1981: Ottenuta dal Comune l’autorizzazione alla costruzione di un nuovo capannone.

10 maggio 1982: la direzione in un incontro sindacale chiede di poter effettuare il 6x6, il sindacato si oppone e chiede il rispetto dell’organico previsto nell’accordo dell’80 (340 persone) di fronte agli attuali 318.

Giugno: La direzione intende mettere in CIG 55 persone se non si riduce l’orario di lavoro al 6x6.

Giugno raggiunto un accordo si prevede l’assunzione di trenta persone e l’istituzione dei turni su sabato e domenica.

6 luglio 1983: accordo per il part time che sostituisce il 1° turno a scorrimento iniziato a marzo 1981 e il secondo turno a scorri-mento iniziato a settembre 1982.

19 febbraio 1984: incendio doloso.

27 giugno 1985: accordo per ripresa delle assunzioni e au-mento di salario.

8 luglio: assunte 8 operaie qualificate provenienti dalla Filseta in CIG.

2 aprile 1986: vendita della centrale elettrica.

7 luglio 1987: incendio al magazzino cotoni per autocombu-stione.

30 agosto 1989: la direzione sperimenta per 4 settimane i gruppi di lavoro ai Rings di 4 persone invece che due.

31 agosto: accordo per la CIG per 40 persone per due mesi.

14 settembre: la direzione, ritenendo non ancora raggiunta la saturazione dei carichi di lavoro, riduce il personale dei turni - uti-lizzando anche la CIG.

Lettera di dipendenti all’Eco del Chisone: “Adesso ogni ope-raia del reparto filatura deve badare a 7 o 8 rings mentre in nessu-na filatura si superano i 6 a testa”.

16 gennaio 1990: accordo sulle giornate di lavoro e di riposo programmate.

 

marzo 1990: sciopero, l’azienda ferma dei reparti - 13 marzo accordo l’azienda s’impegna a rispettare le saturazioni previste a novembre 1989.

giugno-luglio: tensione per il contratto aziendale.

7-8 dicembre: sciopero per la piattaforma aziendale.

13 dicembre: accordo, aumento del premio annuo. l’assem-blea boccia col 63% l’accordo, la direzione nega di avere altri sol-di, il CDF dà le dimissioni.

25 febbraio 1991: nuova votazione, segreta, a favore 68% - assenti al voto 124

30 marzo 1992: 116 lavoratori in CIG per tre mesi, 9 aprile altri 39. E’ prevista una rotazione di 60 operai ogni 7 settimane.

Maggio: la Manifattura riceve la proposta di aprire un’azienda tessile nelle Maurienne in Francia. La proposta allettante viene la-sciata cadere.

25 maggio: nuovo incendio distrugge la scorta di cotone.

9 luglio: l’azienda di fronte alla crisi tessile e alla merce inven-duta intende investire in macchinari, abolire la mensa e il trasporto operai congelamento di varie voci della busta paga.

18 agosto: richiesto il licenziamento collettivo di 131 lavorato-ri, il sindacato non ci sta, intervento dei politici.

25 settembre: assemblee dei dipendenti, si vota si a trattare sulla mobilità 59.4%, no 38,4%.

9 ottobre: accordo, la linea aziendale di riduzione costi, ritirata la mobilità, tra i lavoratori si svolge un referendum 72% di SI.

23 ottobre: Rifondazione Comunista attacca l’accordo e il sin-dacato.

2 marzo 1993: 85 lavoratori ricorrono in Pretura contro l’accordo.

20 aprile: inizia dal gruppo di dissidenti lo sciopero di un’ora per turno a tempo indeterminato, la direzione il 21 aprile si rivolge alle maestranze invitandole a riflettere.

17 aprile: i sindacati presentano una proposta di calendario annuo e di fronte alla chiusura della Direzione dichiarano scio-pero.

29 aprile: sospensione di 5 operaie per turno in quanto c’è lo sciopero, sospensione disciplinare di due operaie (poi, licenziate 9, inizia lo sciopero totale).

30 aprile: assemblea permanente in fabbrica.

10 maggio: assemblea pubblica nel cinema di Perosa.

11 maggio: la direzione manda tutti i 440 dipendenti a casa.

13 maggio: 70 dipendenti scrivono una lettera all’Eco contro lo sciopero.

14 maggio: incontro all’Unione Industriale.

15 maggio: manifestazione sindacale a Perosa Argentina.

17 maggio: ipotesi di accordo: di fronte al ritiro delle 83 de-nunce in Pretura sull’accordo di novembre per la riduzione di sala-rio, ritirati i due licenziamenti, calendario annuo sulle 330 giornate e 14 ore, l’azienda non paga i salari della messa in libertà ma solo i contributi. Le denunce non vengono ritirate, le due licenziate so-no ancora tali, sostituzione alla direzione dello stabilimento.

19 maggio: riprende il lavoro.

Giugno: la nuova direzione come gesto di apertura e sotto ri-chiesta delle maestranze riammette al lavoro le due licenziate.

8 ottobre: il Pretore respinge le richieste dei lavoratori.

14 luglio 1994: la direzione attacca l’assenteismo.

10 febbraio 1997: assemblea per valutare l’accordo che pre-vede un premio di assiduità, di produttività e qualità, nuova mensa.

17 marzo: ritorna la mensa aziendale.

11 dicembre: accordo al ministero del Lavoro che precede un piano di ristrutturazione, blocco del turnover, mobilità verso la pensione.

febbraio 1998: accordo dei turni del part time per un aumen-to dell’orario di lavoro settimane da 25 a 33,6 ore e la riduzione a 6 ore per i turni sabato-domenica. Ogni 5 settimane un sabato domenica di riposo totale. Accordo sperimentale.

Nel 2000. La mobilità è finita.

Nel 2002. Elezioni Rsu.

8-10-2003. Rinnovo premio aziendale.

In novembre. Si è svolto un coordinamento a Milano: pro-blemi e preoccupazioni. Sostituito l’amministratore delegato.

Nel 2003. Il gruppo Legnano presenta una grossa crisi finan-ziaria. Probabile riassetto. In Manifattura a Perosa i dipendenti so-no 290. Il gruppo Legnano ha chiuso lo stabilimento di Cerro con 100 dipendenti. Possiede invece un cotonificio in Egitto.

A dicembre 2003 due giorni di CIG.

2004. Continua la Cig in gennaio, specie per la Preparazione. A inizio febbraio atteso un incontro con la direzione del gruppo. Vista la situazione pessima del gruppo, si parla di possibile chiusu-ra della ‘preparazione’ sul sabato-domenica e di ricerca di volonta-ri a Perosa per la mobilità.

Nota.

Il settore tessile in Italia è ancora molto grande, superiore alle quote relative degli altri paesi europei. E’ comunque in calo. Le imprese sono passate da 40.909 nel 1995 a 33.257 nel 2002 con un calo del 23%.

b) I PADRONI DEL TEMPO

(quindicinale Primo Piano, 8.5.1989)

«Dieci ore di sciopero nell’arco di una settimana, fatto al 100%, con il sindacato e i delegati che invitavano le lavoratrici, con modi più o meno gentili, a riprendere il lavoro». Quella che avete appe-na letto non è la cronaca di una lotta del ‘69, bensì quanto è acca-duto nella Manifattura di Perosa alla fine del mese di febbraio di quest’anno. Questa filatura di cotone (300 dipendenti al 90% donne) è relativamente famosa nel mondo sindacale. Lì è stata avviata una sperimentazione sugli orari di lavoro che hanno porta-to ad un utilizzo degli impianti 7 giorni su 7 e ad una singolare di-visione tra chi lavora i 5 giorni normali durante la settimana (più il sabato mattina) e chi lavora il Sabato e la Domenica, a turni di 10 ore e mezza.

La causa scatenante dello sciopero è stata la minaccia – appa-rentemente assurda – di prendere un provvedimento disciplinare contro una lavoratrice rea di aver partecipato ad un funerale senza aver chiesto il permesso con un anticipo di 48 ore e senza aver portato la giustificazione scritta. In realtà l’oggetto del contendere di questa lotta è stata (in una situazione di lavoro faticoso e stres-sante) la pretesa dell’azienda di programmare rigidamente e con un congruo anticipo le ferie individuali a cui hanno diritto le lavo-ratrici (una decina di giorni l’anno). La direzione di questa azienda – che non si ferma mai salvo che per Natale e Pasqua e per le ferie – vuole infatti avere le macchine che girano con l’organico minimo possibile. Per questo tutto deve essere programmato in funzione delle macchine: dalle pause di pranzo che sono a scorrimento, alle ferie e ai permessi individuali.

Alcuni mesi prima degli scioperi il sindacato aveva effettuato un referendum in azienda in cui i lavoratori dovevano pronunciarsi proprio a riguardo delle ferie individuali; le proposte in ballo erano tre: padrone, sindacato (che proponeva in modi diversi una rego-lamentazione delle ferie) e lavoratrici (che proponevano di lasciare tutto com’era). Inutile dire che vinse la terza anche se va notato che le lavoratrici non erano per nulla contente della situazione pre-cedente, fortemente segnata dagli arbitri di capi, capetti e direttori.

Questa lotta ha avuto alcune caratteristiche interessanti da sot-tolineare: innanzitutto è nata ed è stata gestita fuori e per certi versi contro il sindacato. Il sindacato è intervenuto nel corso della lotta in funzione moderatrice (invitando le lavoratrici a riprendere il la-voro) e al termine, siglando un accordo che ha spaccato il fronte dei lavoratori. Una situazione molto simile a quelle che si sono ve-rificate in questi anni nel pubblico impiego con la differenza che in questo caso, il livello di autorganizzazione dei lavoratori (il Cobas) è stato molto basso e non è riuscito ad intervenire sulla trattativa e a gestire al parte finale della lotta.

"In assemblea ci hanno fregato, proponendoci o di accettare l’accordo così com’era o di occupare la fabbrica" dicono le donne che hanno tirato gli scioperi. "Non abbiamo saputo cosa proporre e così la gente si è divisa e scoraggiata ed è finito tutto".

Un altro elemento interessante è stata la relativa coincidenza dei punti di vista padronale e sindacale (l’uno giustificato dalla produzione e l’altro dall’occupazione) sulla necessità di pianificare, di programmare l’uso dei permessi individuali, contrapposta alla volontà delle lavoratrici, disponibili anche a subire dei ricatti indi-viduali, nella contrattazione col capo del singolo permesso, pur di non avere una regolamentazione rigida e penalizzante dei permes-si stessi. Evidentemente quando la contrattazione collettiva diventa puro recepimento delle ragioni dell’azienda, i lavoratori si ritrag-gono e preferiscono il rapporto personale con l’azienda, magari senza garanzie, ma decisamente più controllabile.

Da questa vicenda credo si possa trarre un’ultima riflessione: venuto meno il dato unificante della fatica fisica, probabilmente è il sequestro del tempo il vero dato unificante del lavoro salariato quale si presenta oggi. La forza lavoro che il capitale chiede ai la-voratori di erogare è sempre meno fatica e sempre più presenza, disponibilità. Allora, un conflitto sul dominio del tempo emerge in forma direttamente politica: evidenziando il carattere dispotico del-la produzione capitalistica, diventa immediatamente un conflitto di potere, in cui i rapporti di forza tra capitale e lavoro si misurano in termini limpidi. Diventa cioè un conflitto altamente identificante, intriso di valori e di prospettive da entrambe le parti.

Sgomenta allora verificare come su questo terreno le posizioni sindacali siano oggettivamente in sintonia con quelle padronali,

aprendo così la strada a divisioni e sconfitte, oltre che a dislocare il sindacato sempre più come un pezzo dell’apparato allargato dello stato, strumento di controllo e disciplinamento della forza lavoro.»

Paolo Ferrero / Democrazia Proletaria

c) AL LAVORO, SOLO DI DOMENICA

La domenica? “Ormai non ricordo più come passa le domeni-che la gente normale”, dice una giovane operaia tessile. “Da quando ho diciotto anni mi mangio tutte le domeniche dentro il cotonificio”. Un’altra: “Quando arrivo a casa dal lavoro, la sera della domenica, vado subito a dormire perché le gambe mi fanno troppo male”. Un’altra: “Tutti aspettano il fine settimana come una liberazione. Io, il venerdì comincio a star male dal nervoso. Arriva-re fino al lunedì mi sembra un incubo. Gli amici ci domandano in che mondo viviamo”. Una sposata: “Nei giorni feriali mio marito esce di casa alle 7 e ritorna alle 19, stanco morto. Per stare insie-me ci sarebbe il fine settimana, ma io lavoro: se faccio il turno di giorno non ci sono, se faccio quello di notte a casa devo dormire”.

Queste donne lavorano tutte alla manifattura di Perosa, un co-tonificio che conta un secolo di vita, in Val Chisone, fra Torino e il Sestriere. Quattrocento dipendenti, che lavorano normalmente dal lunedì al venerdì. Nella prima metà degli anni Ottanta è stato sti-pulato un accordo con i sindacati per assumere 120 operaie con un part time di 25 ore: devono lavorare al sabato e alla domenica. Sono divise in due turni. Un turno fa il giorno: entra il sabato alle 12, esce alle 22.30, rientra la domenica alle 9 ed esce alle 19,30. Un turno fa la notte: dalle 22.30 del sabato alle 9 della domenica, dalle 19,30 della domenica alle 6 del lunedì. Per arrivare a 25 ore, lavorano anche un giovedì ogni due settimane. Guadagnano 850mila lire al mese, circa il 75% della paga normale.

La Manifattura di Perosa non è un caso anomalo. Numerose aziende tessili ricorrono in tutta Italia a contratti atipici per sfruttare gli impianti anche il fine settimana. Gli imprenditori sostengono che solo in questo modo possono accollarsi gli investimenti per modernizzare le tecnologie, recuperando produttività sul mercato internazionale. Il fenomeno è diffuso anche in aziende metalmeccaniche uscite da situazioni di crisi: poiché la stragrande maggio-ranza dei turni normali rifiuta gli straordinari nei giorni festivi, ven-gono assunte squadre soltanto per il sabato e la domenica. Non esistono ancora dei dati, né inchieste. Tutti riconoscono che queste forme di lavoro festivo sono in espansione. Non si sa ancora dove porteranno. All’abolizione della domenica? E’ una realtà sommer-sa. “Se stiamo male, non possiamo rivolgerci al medico della mu-tua, come tutti. Dobbiamo andare alla guardia medica”. “Si può dire che io e mio marito non riusciamo più a vedere i parenti. Mi sembra di vivere fuori del mondo”. La maggioranza di queste don-ne sogna cose semplici: andare a sciare la domenica con gli amici o andare in discoteca il sabato sera. Perfino girare fra i banchi del mercato. Naturalmente il lavoro festivo non è una novità nelle fab-briche siderurgiche, negli stabilimenti chimici, nei trasporti, negli alberghi, nei ristoranti, negli ospedali. La gente che lavora nei gior-ni di festa è un intero popolo.

Ma non deve sfuggirci una differenza essenziale: siderurgici, manutentori, ferrovieri, tassisti, infermieri, baristi in genere, lavo-rano anche il sabato e la domenica, mentre le operaie della Mani-fattura di Perosa lavorano solo il sabato e la domenica. Come se fosse stata istituzionalizzata una serie B di lavoratori. Oppure si va verso una nuova concezione del riposo? I vescovi piemontesi han-no diffuso un documento in cui mettono in guardia contro la “sva-lutazione del giorno festivo” e chiedono che venga difeso “il senso umano della domenica”.

Il Papa ha ricordato nella sua visita alla Olivetti e alla Lancia questo “grido di allarme” dei vescovi.

Ma, nelle donne con le quali abbiamo parlato, la domenica è importante soltanto perché quasi tutti in questo giorno restano a casa, si riposano o si divertono. “E’ vero che sono libera il lunedì, il martedì, il mercoledì, ma con chi vado a passeggio o al bar? E poi l’atmosfera non è la stessa. Non c’è l’aria di festa.” “A me della domenica non importa. il riposo lo farei in qualsiasi giorno, purchè fosse così per tutti. Invece finiamo per sentirci delle escluse.”

L’idea della festa come tempo destinato a custodire una centra-lità di valori, religiosi innanzitutto, familiari, comunitari. è ormai impallidita. In parte dipende dall’età, fra i venti e trent’anni, di queste operaie. Ma è mutata anche la cultura sociale: gli italiani che vanno a messa la domenica sono meno del 30%.

Il disagio della costrizione al lavoro festivo si esprime, invece, in un aspro sentimento di separazione dal resto del mondo del lavo-ro. Per le nostre interlocutrici sia l’azienda che i sindacati sono un nemico. Sapevano di passare nei turni normali, si sentono tradite. «Avevano promesso che in due anni ci avrebbero assunte a tempo pieno» Molte non hanno più rinnovato la tessera del sindacato. Sono ostili anche alla gran parte dei colleghi. Accusano «le lecchi-ne» che fanno gli straordinari e bloccherebbero l'assunzione di qualcuna oggi a part time. Sono pessimiste: “E' una situazione senza sbocchi. Andrà sempre peggio”.

Può darsi che le operaie che accettano di parlare con un gior-nalista vivano la condizione di fabbrica in posizione più conflittua-le. Può darsi che in questo cotonificio le relazioni interne e i con-trolli gerarchici siano più oppressivi che altrove: «Se vai dal denti-sta o dallo specialista, non basta il normale certificato, bisogna do-cumentare il luogo e l'ora». Tutte ci 'hanno pregato' di evitare qual-siasi identificazione, per timore di ritorsioni. Ma non è un caso che proprio chi sacrifica i giorni consacrati al tempo libero provi un'av-versione così marcata per la vita in fabbrica.

L'abolizione della domenica, l'obbligo, di lavorare nel fine setti-mana, riguardano ancora una piccola parte del mondo del lavoro; ma sono la spia di un problema, enorme, aperto dalle esigenze di flessibilità delle imprese: quello di uno sfasamento fra orari di lavo-ro e gestione del tempo in cui la società moderna è molto più arti-colata e segmentata che nel passato. Secondo gli studiosi, si tratta di una fase di transizione, un passaggio verso un'organizzazione più efficiente del lavoro.

Ma oggi i cambiamenti non significano ancora, per chi lavora, una possibilità in più, un'alternativa, nella gestione del proprio tempo. Significano, troppo spesso, un'oppressione: «Spero proprio di andarmene presto», dice una di queste operaie della Manifattura di Perosa. «Non ce la faccio più. Però se non trovo un altro lavoro come faccio? Una famiglia come la nostra non riesce ad andare avanti con una sola busta paga».

Alberto Papuzzi- La Stampa

d) FILTA-CISL, FILTEA-CGIL, UILTA-UIL

IPOTESI DI ACCORDO

DELLA MANIFATTURA DI PEROSA

L’ipotesi di accordo raggiunta venerdì 9-10 sarà spiegata nelle assemblee di sabato 10 e martedì 13 e sottoposta a REFEREN-DUM fra tutte le lavoratrici e i lavoratori giovedì 15 ottobre.

SOLO SE NEL REFERENDUM CI SARA’ LA MAGGIORANZA DEI CONSENSI L’IPOTESI DIVENTERA’ UN ACCORDO VALIDO

FILTA FILTEA E UILTA ritengono che questo accordo che comporta pesanti rinunce a lavoratrici e lavoratori sia il massimo possibile in questa situazione per cercare di garantire il futuro della manifattura e quindi dei posti di lavoro.

QUESTI I PUNTI PRINCIPALI DELL’INTESA:

Ritiro della mobilità aperta il 19/8 per 131 lavoratori.

Investimento di circa 600 teste di roccatura (4 miliardi).

Apertura di un piano di ristrutturazione con due anni di cassa integrazione per 40/45 persone a partire da gennaio-febbraio ’93.

Rinuncia per tutto questo periodo a procedure di licenziamento collettivo (le persone messe in cassa vengono richiamate al lavoro per sostituire chi andrà in pensione o si dimetterà spontaneamente).

Abolizione delle seguenti indennità: trasporto, lavoro di gruppo, mancata mensa.

Cessazione dell’attuale servizio mensa ma con mantenimento di un contributo aziendale di 1000 lire per ogni pasto consumato (tocca ai lavoratori e ai loro rappresentanti trovare un nuovo servi-zio mensa meno oneroso).

Trattenuta per 13 mesi dell’8,4% sul salario di ogni lavoratrice.

(vedi TABELLA DELLA TRATTENUTA:)

paga lorda mensile calc. ba-se+ supermin+ contingenza ecc.

trattenuta

lorda

(mese)

trattenuta

netta

(vedi nota 2)

1.613.383

part time 1.136.037

1.620.997

1.215.748

1.680.580

1.742.264

1.869.698

1.956.337

2.087.099

132.421

99.316

137.136

102.852

142.177

147.396

167.187

167.267

187.385

88.496

78.760

91.647

81.554

95.016

98.606

111.730

111.784

111.882

 

Per i lavoratori del 4-5-6-7 livello la trattenuta sarà per 15 mensilità.

Dal marzo 1994 verrà restituita in 24 rate mensili metà della cifra trattenuta (per chi si licenzia prima la restituzione avviene col TFR).

Lavoratrici e lavoratori, questa proposta è difficile ma riteniamo prioritario, vista la crisi, difendere ad ogni costo i posti di lavoro!

nota 1. I calcoli sono fatti con le aliquote fiscali IRPEF previste dal governo per il 1993

nota 2. La cifra netta di trattenuta per ogni livello può subire ‘piccole’ differenze tra persona a persona a seconda delle detrazio-ni fiscali di ognuno (se si hanno o no moglie e figli a carico ecc.).

e) “L’Eco del Chisone”

Raggiunto l’accordo tra la direzione e i sindacati.

LA MANIFATTURA RITIRA I LICENZIAMENTI

E INVESTE PIU’ DI QUATTRO MILIARDI.

L’organico sarebbe statoridotto d130 unità – Lafirma al termine di una trattativa durata venti ore – I dipendenti ‘cedono’ una parte del salario: 90mila lire al mese per unaanno – La restituzione della quoa ridotta del 50% - L’inconro in Regione per garanire l’applicazione dell’ac-cordo – Eccedenze e cassa integrazione straordinaria. i ttt

Perosa Argentina. Il braccio di ferro tra la Manifattura e le orga-nizzazioni sindacali è terminato: la direzione si è impegnata a ritira-re i licenziamenti dei 131 lavoratori per i quali era intenzionata, a causa della grave crisi in cui si trova il tessile, ad attivare la proce-dura di mobilità.

L’accordo inoltre, siglato al termine di una trattativa di 20 ore, prevede un consistente investimento da parte dell’azienda, più di 4 miliardi, “Questo in particolare – sottolinea Alberto Ghibò della Cisl – significa che la Manifattura è intenzionata a mantenere a Pe-rosa il sito produttivo”. In cambio del posto di lavoro e dei capitali per la ristrutturazione, i dipendenti hanno dovuto ‘cedere’ una par-te del salario: 90mila lire al mese per un anno; la quota sarà poi restituita al personale al termine del periodo, ma ridotta del 50%.

Una sorta di prestito forzoso, che si è reso necessario e che le maestranze dello stabilimento avevano in qualche modo preventi-vamente accettato, quando con un referendum conferirono al sin-dacato il mandato di trattare anche sulla retribuzione.

Giovedì 22, le parti avranno un incontro in Regione con la Giunta. “un appuntamento importante, perché garantirà un con-trollo sul ritiro dei licenziamenti”- precisa Ghibò. Che aggiunge: “E’ un accordo pesante per i lavoratori, siglato nell’ottica di man-tenere l’occupazione in una valle a rischio”.

Analoga la preoccupazione dell’Assessore regionale al lavoro Giuseppe Cerchio. La mobilità rischiava di “minare la permanenza dell’azienda” – si legge in un comunicato dell’assessore – in un’area difficile qual è la Val Chisone”.

In ogni caso, i sindacati non manifestano troppo ottimismo. “L’investimento – aggiunge l’esponente della Cisl – produrrà una quarantina di eccedenze che saranno gestite con la cassa integra-zione straordinaria per ristrutturazione”.

Più soddisfatti invece i dipendenti: l’accordo è stato approvato dal 72% dei lavoratori.

Alberto Negro

f) Perché il taglio salariale alla Manifattura?

«Alla Manifattura di Perosa è stato firmato un accordo che di-minuisce il salario dei lavoratori di oltre 150.000 lire su stipendi operai di 1milione 300.000 al mese. Il taglio del salario è stato concesso dopo che la ditta ha minacciato la mobilità esterna per 131 lavoratrici. Questo accordo ha visto la decisa opposizione di Rifondazione Comunista e di un centinaio di dipendenti che han-no inviato al sindacato una lettera in cui lo diffidavano dal trattare a nome loro sulla diminuzione dei salari. Vorrei qui di seguito fare alcune considerazioni sulla vicenda :

1) Questo accordo aprirà una guerra tra poveri nel gruppo di cui fa parte la Manifattura; gli stipendi della Manifattura erano già i più bassi del gruppo (200.000 in meno); adesso la ditta avrà gioco facile a ricattare i lavoratori degli altri stabilimenti.

2) Questo accordo aprirà la strada affinché altri padroni, in zo-na ma non solo, minaccino licenziamenti per ottenere la riduzione dei salari. perché il sindacato non ha allargato il fronte invece di tenere nell’isolamento la vicenda di Perosa?

3) Questo accordo prevede comunque 40/50 esuberi da mette-re in CIG, lasciando indeterminati i livelli occupazionali alla fine della ristrutturazione.

4) Il rapporto con le lavoratrici da parte del sindacato è stato terribile. Invece di cercare le soluzioni costruendo coscienza, lotta, alleanze, vi è stato un atteggiamento terroristico, in cui il sindacato e la gerarchia di fabbrica hanno fatto di tutto per spaventare la gente, arrivando sino agli insulti in assemblea. Addirittura la lettera inviata al sindacato dalle 100 lavoratrici dopo due giorni era sulle scrivanie di tutti i capi.

5) Questo non è il primo accordo ‘strano’ che si fa alla Manifat-tura per salvare l’occupazione. Prima si è accettato il lavoro fisso al Sabato, poi le squadrette al Sabato e Domenica (che poi la SKF ha copiato), poi le ferie individuali programmate, adesso il taglio salariale. ma ci vuole tanto a capire che questi accordi non risol-vono i problemi ma distruggono solo ogni forma di unità dei lavo-ratori a vantaggio dei padroni?

6) I responsabili degli Enti Locali della zona si sono schierati a fianco della proposta sindacale, considerando ‘ideologica’ la posi-zione di Rifondazione Comunista. Ma perché questi amministrato-ri, invece di lavorare seriamente sul problema dello sviluppo delle nostre vallate (che non può essere affidato al solo turismo), si limi-tano a gestire il degrado, con un po’ di soldi dati a pioggia per ga-rantire i voti a se stessi e ai propri partiti?

7) Per la prima volta in questi anni una fetta considerevole di dipendenti della Manifattura ha detto no a questo stato di cose. Come Rifondazione Comunista speriamo che il sindacato, o alme-no una sua parte (visti i grossi contrasti che in casa CGIL e CISL ha creato questo accordo), voglia dare una risposta positiva a que-ste lavoratrici che hanno scelto di non piegare la testa, ritirando la firma dell’accordo e riaprendo la vertenza. da parte nostra le so-sterremo sino in fondo, anche con le vertenze legali.»

segreteria prov.le Rifondazione Comunista

Paolo Ferrero, lettera all’Eco del Chisone

g) “L'Eco del Chisone" 13 maggio 1993

MANIFATTURA PEROSA: DUE COSE VECCHIE

La vicenda conflittuale alla Manifattura di Perosa propone una miriade di riflessioni di piccola e grande dimensione. Ripropone soprattutto il problema dei rapporti aziendali. Questi rapporti de-vono risultare vincenti per la dignità dell'uomo (di ogni uomo an-che di chi ha un tasso alto di responsabilità), per le fortune dell'im-presa (fortune che non sono divisibili o solo quantificabili) per lo sviluppo di un'area che non va mai considerata periferica o esclu-siva. Non bisogna contrapporre il rapporto funzionaIe con quello umano. Un’organizzazione efficiente sotto l'aspetto tecnologico e strategico-professionale non significa disumanità e un tipo di rap-porto diretto, orizzontale più che verticale, non significa anarchia o paternalismo. Un'impresa nella sua complessità non può più essere un lenzuolo che ciascuno tira dalla sua parte fino a strapparlo, ma un tessuto sempre più ampio. Un'azienda fila e non rompe il filo.

L'impresa deve tendere (dico deve tendere per non dire delle cose che non ci sono ancora) a diventare una comunità, un'asso-ciazione, attraverso una dialettica mirata allo sviluppo e non alla perenne conflittualità.

Al di là della recessione non si può sacrificare un patrimonio professionale e tecnico nella strategia del tanto peggio tanto me-glio.

Né si può governare le cose oggi senza un minimo di trasparen-za da parte di tutte le componenti. E dicendo componenti voglio

dire che non dovrebbero mai esistere egemonie o sottomissioni ma trasparenza di interessi e di iniziative. Su questa strada ci sono due ostacoli obsoleti, oggi perdenti. Sono i due ostacoli che si tro-vano sulla strada della vicenda di Perosa.

Il licenziamento di due dipendenti a causa di un banale diver-bio (banale nel senso che si inserisce naturaliter nella tensione in atto) è assolutamente sproporzionato per non dire ingiusto.

È come se il Codice penale punisse l'ingiuria con 30 anni di car-cere o come una rapina a mano armata. Ciò che non può fare un Codice penale non lo può fare a maggior ragione un organo diret-tivo che sta in piedi non per scelta democratica o per diritto divino, ma per semplice contratto privatistico. Forse alla Manifattura di Perosa come in troppe aziende gestite alla vecchia maniera, pur nella lucidità dell'organizzazione strategica e tecnologica, non si ha ancora l'idea del diritto che è asse portante di ogni sana politica (anche di quella aziendale), ma solo l'idea della forza al punto che tutto diventa un'arma (la retribuzione, la carriera, lo stesso licen-ziamento). Il licenziamento è peggio di una prigione perché toglie un diritto fondamentale che nemmeno il Codice penale si sogna di togliere: il diritto al lavoro.

Hanno riflettuto i dirigenti dell'impresa (a Perosa ma soprattutto a livello più alto) su questa conseguenza? A meno che tutto fosse previsto, anche la reazione, sopportabile in un momento di reces-sione e di mercato, ma allora manca un elemento fondamentale del rapporto che è la trasparenza e senza la trasparenza oggi non si fa più né politica né cultura.

Il secondo ostacolo che abbiamo trovato è il vecchio schema della lotta di classe che è schema mentale superato poiché non tiene conto che la diffusione del mercato e la complessità della produzione non fanno più della classe operaia, una classe sfrutta-ta, ma una classe contraente e consumatrice.

Senza il potere d'acquisto e la dignità della classe operaia il ca-pitale potrebbe chiudere. La cultura della lotta di classe applicata al caso di Perosa comporta un certo odio verso ogni forma di con-trattazione, la lettura di un compromesso organizzativo (come era quello delle ferie) in chiave o di vittoria o di sconfitta, il credere che l'altro sia un avversario che gioca a scacchi nascondendo sem-pre qualcosa, il rifiuto sistematico di considerare la ragione dell'impresa come ragione del più forte, la filosofia che può serpeggiare in chi magari non ha necessità vitali (ma sono pochi a Perosa) del tanto peggio tanto meglio.

Nel caso di Perosa poi mi sembra che la referenza politica sia troppo stretta, poiché non si può diventare forza contrattuale senza rapporti ampi o giocando solo il mito della minoranza o religiosa o politica in chiave di resistenza un po’ fideistica.

Non c'è la sinistra più pura, i progressisti più veri, ci sarà una sinistra più integrata o meno integrata.

Su tutto regna un difetto di comunicazione. La mancanza di co-municazione crea marginalità e la marginalità crea estremismo. L'estremismo non paga perché non è mai complessivo e reale. An-che i sindacati debbono imparare a comunicare offrendo maggiori strumenti di democrazia interna e fra questi strumenti metto anche le notizie sulle vicende dell'azienda sotto tutti i profili (investimenti, bilancio, tecnologia, mercato). Dico notizie e non proclami. Inoltre non è concepibile che il sindacato non diventi unitario nell'area del gruppo, perché ho l'impressione che il malumore di Perosa nasca anche da un’insufficiente comparazione e concertazione fra i vari stabilimenti. La distanza dal centro decisionale è sempre un pericolo.

Vittorio Morero

h) “La riassumo se ritirate la causa”

Ma le donne della fabbrica di Perosa non ci stanno

LA NOSTRA COMPAGNA LICENZIATA

Torino. Non è esagerato affermare che nelle verdi valli ad un’o-ra di macchina da Torino si è consumato un dramma: quello delle lavoratrici e dei lavoratori della fabbrica tessile del gruppo Mani-fattura di Legnano, situata a Perosa Argentina.

Un accordo disgraziato quello del novembre scorso – così lo de-finisce Sergio Parino, segretario aggiunto alla Filtea-Cgil Piemonte – che ha decurtato il salario di circa 150mila lire, contando anche l’abolizione del servizio mensa e trasporto, che entreranno nelle casse del padrone per i necessari investimenti. Un accordo che i lavoratori hanno votato a maggioranza, con il naso tappato, per evitare la prospettiva di 131 provvedimenti di mobilità. “E’ la più grossa bufala che potevamo prendere – dice ancora Perino – per-ché poco più tardi ci siamo sentiti dire quanto questo stabilimento fosse importante per tutto il gruppo”.

La scoperta, da parte della direzione è recente ed improvvisa ed arriva quando un consiglio di fabbrica di nuova elezione decide di porre un limite alle richieste aziendali, che mettono in discussio-ne il calendario annuo di giorni festivi e lavorativi.

Oltre 20 giorni di sciopero, la serrata, due lavoratrici licenziate che potrebbero tornare al loro posto solo se 85 compagni decidessero di ritirare la causa legale promossa contro l’accordo di novembre.

Il ‘ricatto’ non viene accettato – ed è storia di questi giorni. Una donna, delegata ed iscritta a Rifondazione comunista rimane senza lavoro mentre altre donne, le sue compagne di lavoro e di lotta, sentono il peso di questa scelta e ne soffrono.

“Da una parte il ricatto dell’azienda – raccontano le lavoratrici in un animatissimo incontro – dall’altra la nostra compagna fuori della fabbrica. Ma quali garanzie c’erano che sarebbe tornata al lavoro una volta ritirate le firme? E se le firme fossero state ritirate, in che clima saremmo tornati tutti a lavorare?”

Una via d’uscita, forse ci sarebbe potuta essere se il sindacato avesse manifestato l’intenzione di rivedere l’accordo con la nuova direzione (la vecchia si è dimessa in seguito allo sciopero): “In questo caso – dicono le lavoratrici – rinunciare alla causa avrebbe avuto uno scopo preciso”. “Ma abbiamo sentito intorno a noi solo tanta confusione – continuano – mentre l’unico che sapeva quello che voleva era il padrone”.

“Alla fine – dice una delle lavoratrici più vicina alla delegata li-cenziata – io mi sono sentita sconfitta su tutti i fronti. E non sto meglio se penso che non ho ottenuto il ritiro del licenziamento perché non ho ceduto ad un ricatto. Mi infurio invece se penso che la mia com-pagna è fuori della fabbrica per motivi che secondo me sono più poli-tici che legati alla lotta che abbiamo fatta”. La tesi diffusa è infatti che, in una fabbrica dove si lavora di notte, il sabato, la domenica, dove i ritmi sarebbero notevolmente aumentati dopo l’accordo di novembre e dove la regola “è sempre stata quella di chiedere al sindaco o all’assessore se una ragazza può essere assunta o meno” non poteva che dare fastidio che qualcosa cambiasse anche grazie a donne che, si sapeva, avevano “idee politiche”.

“Assenza di diritti, vessazioni, difficoltà con i compagni di lavo-ro, anni che pesano come macigni” questo è quello che si dice del-la fabbrica di Perosa tra gli abitanti delle lussureggianti colline po-co sopra Pinerolo, segnate dalla presenza della chiesa valdese.

Ed è forse questo l’elemento che scardina, tra le lavoratrici di Perosa, qualsiasi ragionamento sindacale o politico classico per cui 85 valgono più del singolo, della cui sorte positiva si è certi perché forte è stato l’appoggio delle istituzioni sindacato o partito. Della propria compagna le altre sanno tutto, conoscono la sua casa, la sua famiglia; e le strade che lei percorre nella sua vita fuori della fabbrica sono quelle che loro percorrono uscendo dal lavoro. E sanno quanto sperasse nello ‘scambio’ licenziamento contro causa, tanto che mentre le altre erano in assemblea “lei preparava il grembiule e la scodella porta-pranzo”.

Come non pensare quindi, al suo sentirsi, al momento della de-cisione finale, come l’“ostaggio” che non viene liberato?

“Mi sento spaccata – dice una giovane lavoratrice – dentro e fuori la fabbrica, e non capisco adesso in che direzione stiamo an-dando e quali intenzioni ha il sindacato.”

Donatella Francesconi, Liberazione, maggio 1993.

i) Manifattura - articoli usciti su ‘Nontuttoèvalle’

durante lo sciopero di maggio 1993 -

Al mercato. Volantinaggio…

Operaio Fiat/Rivalta: “Stanno preparando le liste per rifare come nell’ 80. Un taglio neto, a Rivalta finisce la UNO e non si rimpiazza con un’altra produzione. Dovremmo trovarci. Da tutte le fabbriche. E manifesare a Pinerolo”.

Minatore capo pensionato: “E perché io dovrei prendere il volantino sulla Manifattura?”

- Come dire, non vogliopiù saperne delle fabbriche… Oppue non l ha mai presi nemmeno in minea?

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Operaio BOGE: “Abbiamo anche noi le nostre rogne. Ma o-gnuno pensi alle sue… Basta coi casini, è ora d sottomettersi…”

Operaio squadrette esterne: “Ci fanno lavorare alle macchi-ne, altro che decoratori… Ma da un giorno all’altro ti licenziano.Niente scioperi, niente assemblee. Siamo ricattati dal padrone e odiati dalle donne di Manifattura…

Assemblee pubbliche sulla vicenda della Maniaua si stanno tenendo in Valle. La prima, sindacale, venerdì 7 a Perosa, la se-conda di Rifondazione C., lunedì 10 a Pomaretto.

Intanto i delegati Fim-Cisl del CDF SKF di Villar scrivono:

(...) "Bisogna stringersi attorno alle lavoratrici della Manifattura che hanno avuto il coraggio di rialzare la testa per sostenere la loro lotta. La democrazia, i diriti elementari dei lavoratori non possonofermarsi fuori della fabbrica...” e aggiungono: "(... Chi è stato a fianco della Manifatura per far passare certi accordi ed ha respon-sabilità amministrative locali deve ora con altrettanta chiarezza fa sentire la sua voce per riaffermare i diritti inalienabili dei lavo-ratori" (...)

Anche il CDF della miniea ha manifestato la disponibilità per le iniziative sindacali di sosegno che si prenderanno.

MANIFATTURA PROSEGUE LA LOTTA

Il CDF nelle varie assemblee e nell'intercategoriale tiene fermi i punti del rientro delle operaie licenziate, della ripresa del lavoro, della richiesta di un rapporto corretto della direzione coi lavoratori e il CDF, della soluzione della trattativa sulle ferie.

Il sindacato appoggia la lotta ma continua a difendere l'accordo sull’autoriduzione del salario che ritiene una carta buona per mo-strare all'azienda che si è concessa collaborazione.

P. Ferrero, nella serata organizzata da Rifondazione Comunistaha ricordato le responsabilità di enti locali e partiti di valle nella politica delle assunzioni e nel fiancheggiare via via l'azienda in questi anni. Propone inoltre di allargare la lotta alle aziende della zona e a tutta la comunità locale e un coordinamento con le altre aziende del guppo.

V. Morero, detto che il padronato è di tipo "tedesco", ritiene superata la lotta di classe in nome di un’accettazione del capitalismo

in cui padroni e operai sarebbero "componenti" che devono impa-rare a convivere.

Furlan, sindaco di Perosa, ricorda che gli amministratori si muovono, anche se non dicono tutto quel che fanno e porta l'or-dine del giorno di solidarietà con la lotta del C. Comunale. Soster-rà anche il pevisto "viaggio" a Legnano per far incontrare Perosa con altre aziende del gruppo.

Altri CDF: alla Boge c'è stato uno sciopero di 4 ore sul cottimo e per la Manifattura. Dalla SKF arriva la proposta di manifesare aPerosa sabato 15. Molti gli operai della Tecnomaiera presenti. I delegati portano la solidarietà e spiegano i problemi interni dellaloro azienda.

Profondo Nord

Sul declino industriale della valle si scrive che è dovuto alla mancanza di servizi, d aree industriali, strade, cultura, che è zona sismica.

fii- In mancanza di incentivi per attirare imprese, resta la soluzionedella Manifattura che ha trovato in valle il suo Far West. Nella ri-cerca, sulla pelle delle operaie, d costi sempre minori, regimi di turni speciali, libertà di straordinario, ferie programmate ecc. Ri-chiesti dall'azienda e concessi con ricatti e condizionamenti pean-ti. Infine la TANGENTE della riduzione del salario, ancora oggi di-esa come male mnore da sindacat e varie forze politiche locali. Ma la corda troppo tesa si è rotta, è nato un nuovo CDF, è scoppiata la lotta sul calendario annuo, ennesima occasione della dire-zione per far sentire la frusta.

L'asino questa volta ha piantato gli zoccoli e s'è fermato. Come risposta, la serrata.

t.r, t rLo sciopero sta rimescolando le carte. Politici volenterosi, nel ruolo di mediatori, sperano di seppellire il passato di una politicadi assunzioni da cui è nao il clima dentro e intorno alla fabbrica. Il sindacato..idem. Deve tenere conto della nuova iniziativa opeaiadichiara di impugnare l' art. 28 dello Statuto per i licenziameni ela serrata, ma non è disposto a mettere in discussione la preceden-te collusione col padrone. Ci si chiede: sarà ancora a fianco della direzione nella causa – se ci sarà – che si tiene in giugno (Preturadi Pinerolo) per la riduzione del salaio? La svolta dell'azienda con

86i iit. , t s,r ti.tr strii le dimissioni di tre drigenti e la proposta di aprire una nuova faseè contraddetta dal ricatto sui licenziamenti. Se la proposta di scam-bio (licenziamenti/causa) va a buon fine ...la tangente della ridu-zione salariale vene "legittimata" per ora ma dventa un punto su cui costruire una risposta più ampia di tuta" la fabbrica. Ancora una volta la lotta ritorna in primo piano, più difficile delle vie lega-li, ma così non si delega Il padrone, sostituendo la direzione, pare voglia restare per spremere ancora il possibile... Le operaie hanno trovato nella lotta una maggiore unità anche se un gruppetto si è tirato fuori dissociandosi sull 'ECO, ma unafetta di forza lavoro è ancora clandesina. Qualcuno, nell'assem-blea intercategoriale,i è stupito delle squadrette delle imprese ar-tigiane, vero capolarato del sud. Vanno e vengono assunti e licen-ziati dai padoncini che godono di impunità varie. "Imbianchini che lavorano in produzione? 50? Quando? Come ? Dove? Il sin-dacato aspetta. A Roma si è iniziato a parlare, ancora col governo Amato, del lavoro "interinale", operai in affitto per pochi giorni... A Perosa, anche su questo sono già pronti...! Un po' di cronaca... Dopo le due assemblee pubbliche affollatissime del sindacao e di Rifondazione la situazione s aggrava martedì con la messa in libertà di tutta la fabbrica La manutenzione era enata in scioperolunedì... Nuova assemblea serale al cinema Piemunt, viene deciso il presidio. Mercoledì pomeriggio intercategorialea Pinerolo, si de-cide la manifestazione a Perosa per sabato e assemblee nelle fab-briche per un'azione di lotta. Giovedì mattina il sindaco Furlan e l'Assessore al Lavoro della C. Montana vanno a incontrare la dire-zione del gruppo a Legnano. Alla sera il sindaco riferisce al CDF che l'azienda è dispota a trattare e che tre dirigenti, Giudici, Ric-chini e Zanardi, hanno dato le dimissioni. Sempre giovedì le ope-raie che hanno firmao una lettera all'Eco in favoe dell' azenda sincontrano con la C. Montana. Intanto prosegue il presidio davanti al portone, la sera la partecipazione cresce e un centinaio di per-sone commenta le notizie giunte da Legnano.

Venerdì pomeriggio all’Unione Industriale incontro per comunicazioni, convocati i regionali e i sindacalisti tessili. Il CDF viene chiamato a Torino in serata.

L'azienda è disposta a far riprendere il lavoro. Invece per discu-tere la riassunzione delle due licenziate chiede che venga ritirata la causa di 84 dipendeni contro la riduzione del salario. A questo punto l'incontro si interrompe.

Sabato mattina. manifesazione a Perosa con sciopero dei commerciani, e artigiani. Più diun migliaio fra lavoratori e popo-lazione. Giungono messaggi di solidarietà dai CDF del resto del gruppo. La sera riunione delle 84 che hanno fato la causa per decidere sulla proposta di "scambio". Viene data la disponibilità a riti-rare la causa con delega al CDF a trattare.

Domenica pomeriggio assemblea al Piemunt di tutta la Manifattura, approva il mandao al CDF a trattare su una piattaforma in 4 punti.

Gli ultimi fatti.

Lo scambio (causa sul salario/ritirò dei licenziameni) posto dal-la direzionecome ulterioe bastone fra le ruote, ha creato problemi per alcuni giorni. Forse ha fatto credere che non fosse necessaria una lotta dura e più vasta. Non si è però raggiunta l'unanimità fra gli 85 – condizione richiesta per trattare – e la vertenza a questopunto si è rapidamente conclusa. C'èchi dice troppo in fretta. De-ciso di lasciare al tribunale la difesa delle licenziate, l'assemblea, ormai dimezzata, mercoledì pomeriggio ha scelto di chiudere lo sciopero. Restavano da trattare solo le ferie e le condizioni del rientro (pagamento per messa in libertà). Dopo un bis di dicus-sione nella serata, a notte si è chiusala trattativa e il lavoro è ripre-so giovedì 20. Questo è tutto.

Era una lotta difensiva, con provocazioni padronali e gesti fero-ci, come la serrata e i licenziamenti. Gruppi di dipendenti, più o meno organizzati si sono mossi a favore del padrone. L'obbiettivodi cambiare i rapporti in fabbrica è di lunga durata, intanto è cam-biata la direzione.... Resano alcune domande:

il sindacato alla fine voleva ancora tentare una resistenza sui li-cenziati. Perché allora non ha aiutato in tempo utile il CDF a co-struire l'unità nel gruppo Legnano, nè ha allargato tempestivamente la lotta alle aziende della zona? A cosa serve l'apparato sin-dacale? "le fabbriche sono tutte in crisi" si dice, ma non è proprio questa la premessa per la solidarietà e non solo la debolezza degli operai?

Restano aperte le cause, sui licenziamenti e sul salario (visto che le trattative fallivano tutti gli 85 hanno ripreso il pieno diritto di proseguire l'azione giudiziaria. La lotta di Perosa ha offerto, a chi vuol capire, un'idea dei limiti, nella cisi, della resistenza azenda per azienda. Siamo solo più condannati a questo, dalla linea sin-dacale – dai vertici alla periferia – senza una linea di resistenza ge-nerale? Ormai è chiaro che quest'ultimo obiettivo può nascere solo dal basso e con molti sacrifici... dopo aver rinunciato a imprecare contro i "venduti" e i compagni di lavoro meno combattivi...

p.b.

l) COMUNICATO STAMPA

Partito della Rifondazione Comunista,

Federazione provinciale e regionale di Torino

DOMANI, 4 GIUGNO, PRESSO LA PRETURA DI PINEROLO, PRIMA UDIENZA DELLA CAUSA INTENTATA DA 85 LAVORA-TRICI DELLA MANIFATTURA DI PEROSA, APPOGGIATE DA RIFONDAZIONE COMUNISTA. CONTRO L'ACCORDO TAGLIA-SALARI DELL'INVERNO SCORSO.

L’autunno scorso il sindacato firmò alla Manifattura di Perosa, nonostante il parere contrario di molti lavoratori, un accordo che tagliava di 150.000 lire i salari, toglieva la mensa e il contributo dell'azienda per il trasporto.

Rifondazione Comunista che si era strenuamente battuta contro quell'accordo organizzò una vertenza legale a cui aderirono un quarto dei lavoratori della fabbrica. La direzione, nel corso della vertenza sindacale appena conclusa, ha cercato di far ritirare la causa in cambio del ritiro del licenziamento di una delegata sinda-cale ma i lavoratori non hanno accettato il ricatto.

Paolo FERRERO, della segreteria provinciale Comunista di Ri-fondazione ha dichiarato

"La causa che si apre domani alla Pretura di Pinerolo è di stra-ordinaria importanza sia sul piano giuridico che politico. In primo

luogo serve a chiarire che il sindacato non può contrattare il peg-gioramento delle condizioni dei lavoratori quando questi non sono d’accordo.

In secondo luogo è utile per porre un freno alla strategia terrori-stica dei padroni che minacciano licenziamenti per ottenere ridu-zioni di salario.

Rifondazione Comunista nell'appoggiare la causa dei lavoratori invita il sindacato a fare la sua parte, rimettendo in discussione l'accordo taglia-salari di Perosa."

l'ufficio stampa

Torino, 3/6/93

m) MANIFATTURA: CI VOLEVA DI PIETRO

Venerdi' 8 ottobre la Pretura di Pinerolo si è pronunciata in me-rito alla causa promossa da 85 lavoratrici della Manifattura di Pe-rosa che chiedevano il non riconoscimento della legittimità dell'ac-cordo taglia salari firmato dal sindacato un anno fa.

Il Pretore ha dato torto ai lavoratori (riconoscendo solo il diritto al pagamento degli interessi), con una sentenza che farà indub-biamente discutere in quanto i ricorrenti avevano esplicitamente tolto il mandato alle organizzazioni sindacali a trattare per conto loro. In pratica con questa sentenza si stabilisce il principio che il sindacato può sempre firmare a nome dei lavoratori anche quan-do non ne ha il mandato. E' come se qualcuno fosse legittimato a vendere casa vostra anche se voi non siete d'accordo: alla faccia della democrazia.

In ogni caso la partita non è chiusa: adesso aspettiamo che il Pretore depositi le motivazioni del suo giudizio e poi riteniamo ne-cessario fare ricorso contro questa scandalosa sentenza.

Detto questo, vogliamo fare alcune riflessioni:

- In tutta la vicenda – e forse anche nel giudizio del Pretore – ha pe-sato come un macigno la minaccia della chiusura dello stabilimento da parte della direzione. Questo è il vero problema, non solo a Perosa. In una situazione in cui tutti, i partiti (PDS compreso), e la maggioranza del sindacato accettano in pieno la logica della competitività e delle compatibilità dell'impresa, si è fatta strada l'idea che il posto di lavoro si salva solo piegando la testa. Noi pensiamo che questo non solo è sbagliato, ma è anche falso: basta vedere l'esempio della Borgonova di Al-pignano, una fabbrica metalmeccanica che, dopo una lotta di un mese, ha accettato un accordo che tagliava i salari di 150.000 lire al mese in cambio del ritiro di 100 licenziamenti; a distanza di un anno la ditta ha denunciato oltre 100 esuberi alla faccia del taglio dei salari e degli ac-cordi firmati.

Per questo pensiamo che l'unica strada per difendere l'occupa-zione sia quella di respingere fabbrica per fabbrica accordi di que-sto genere e parallelamente costruire un movimento generale per la riduzione dell'orario di lavoro, come è stato chiesto dalla grande manifestazione di oltre 300.000 lavoratori che il 25 settembre scor-so è stata organizzata a Roma da Rifondazione Comunista e dai Consigli di Fabbrica autoconvocati.

Solo in questo modo si eviterà una guerra tra i poveri e si rico-struirà un clima politico in cui vertenze come quella di Perosa po-tranno essere vinte.

- La vertenza legale contro il taglio dei salari è stata persa. Nel frattempo Governo, padroni e sindacato hanno anche abolito la scala mobile. Negli ultimi anni vertenze aziendali non sono più sta-te fatte. Ci pare proprio il caso di aprire da subito una vertenza sa-lariale che serva a recuperare un po’ di soldi per tutti i lavoratori e le lavoratrici della Manifattura.

- Dopo questa sentenza qualche lavoratore che era sicuro di vin-cere piangerà e qualche fesso che fa il tifo per il padrone riderà. Senza ridere nè piangere, con il dispiacere per una battaglia per ora persa, vogliamo sottolineare che questa vertenza è stata una grande e positiva esperienza politica. E' stata positiva perchè indica la strada da percorrere, quella dell'autonomia dei lavoratori, della loro capa-cità di decidere cosa fare al di là delle minacce del padrone o delle prediche di quei sindacalisti da operetta che ogni tanto si fanno vivi. E' stata positiva anche per come è stata gestita: tutte le volte che si è dovuto decidere come andare avanti si è discusso a lungo ma alla fine i lavoratori e le lavoratrici ricorrenti hanno sempre deciso cosa fare, senza che nessuno lo facesse al posto loro.

Anche questo è un insegnamento da non dimenticare.

Partito della Rifondazione Comunista

11-10-1993

n) DOCUMENTO di alp/cub

sindacato di base nato a Pinerolo nel 1995

e presente in Manifattura a Perosa.

La Manifattura di Perosa fa parte del gruppo Roncoroni, con sede a Legnano. Sono passati 15 anni da quando, nel 1983, con un accordo con le tre organizzazioni sindacali si è introdotto il part time: 25 ore la settimana delle quali 21 nel fine settimana con due turni di 10 ore e mezza e le altre 4 da recuperare ogni due setti-mane con una giornata di 8 ore. In cambio 120 assunzioni. In questo modo un centinaio di lavoratrici sono state separate netta-mente dal resto della produzione, con una divisione che dura tut-tora. Poche decine sono state passate sui turni normali. Gli oltre trecento dipendenti della Manifattura sono progressivamente sot-toposti a limitazioni sulle ferie, per questo c’è stato anche uno sciopero organizzato da Democrazia Proletaria (che segue la fab-brica e continuerà a farlo con per vari anni con Rifondazione Co-munista) il 17 febbraio 1989 allorché la direzione non volle conce-dere ferie a una gruppo di lavoratrici. Dieci ore di sciopero nell’arco di una settimana, al 100% con i sindacati e i delegati che invitavano a riprendere il lavoro. Un’altra costante è il lamento della direzione sull’assenteismo, con frequenti lettere disciplinari. A settembre del 1989 c’è cassa integrazione ma si continua a fare straordinario. A marzo 1990 c’è sciopero interno un’ora al giorno contro i ritmi di lavoro e i rapporti interni divenuti insostenibili e la direzione ferma alcuni reparti di preparazione. Il 30 marzo del 1992 la Manifattura mette in CIG 118 persone per ridurre, dice, del 30% la produzione. Questo provvedimento è attuato anche in alcuni degli altri 6 stabilimenti della società. Una caratteristica della Manifattura è l’uso di una cinquantina di dipendenti delle ditte e-sterne impiegati ai lati e dentro la produzione ma fuori di ogni re-gola sindacale. Il 18 agosto del ‘92 la direzione comunica di voler licenziare 131 dipendenti su 430. Il sindacato propone un anno di cassa integrazione straordinaria. Seguono prese di posizione del consiglio comunale di Perosa e della C. Montana. Ci s’incontra all’Unione Industriale, diserta le riunioni il direttore generale tecni-co Giudici. Poi la situazione si sblocca con l’incredibile referendum sulla proposta dell’azienda di congelare una parte del salario menile (il 61% dei lavoratori è disposto a trattare su questa base). L’accordo viene siglato il 3 ottobre: abolizione del servizio mensa, eliminate le spese per il trasporto lavoratori e l’indennità per il la-voro a gruppo. Inoltre una somma viene congelata per 12 mesi sul salario - da restituire al 50% nel 1994. L’azienda in cambio ritira i licenziamenti, investe 4 miliardi per il reparto roccatura, si prevede un’eccedenza di 40 persone in parte in CIG speciale per due anni, altre in pensione. Di fatto si tratta di un prestito all’azienda da par-te di lavoratori di circa un milione a testa (metà sarà restituito). Contro l’accordo si schierano la Filtea regionale piemontese e lombarda: denunciano il ricatto che ha costretto ad approvare l’accordo (75% dei dipendenti). Rifondazione Comunista contesta e commenta l’accordo facendo la cifra di tagli per 150.000 mensili per un anno. (vedi articolo)

A maggio del 93 arriva la vertenza sul calendario annuo: l’azienda vuole 331 giornate lavorative , il sindacato 10 ore di me-no...! Sembra strano ma il pretesto è questo, dietro ci sta il ruolo e il riconoscimento del consiglio di fabbrica.

Sciopero all’inizio di un’ora, poi di otto dopo una messa in li-bertà di alcune decine di operaie. Durante lo sciopero diverbio fra due operaie: vengono sospese per cinque giorni. Una è delegata, pare una provocazione ben riuscita. Dopo che continua lo sciope-ro la direzione licenzia le due operaie e mette in libertà sempre più dipendenti. L’11 maggio tutti a casa. Allora è cominciato il presi-dio dello stabilimento 24 ore su 24.

L’azienda fa sapere che i licenziamenti rientrano se il gruppo dei dissidenti, sono 85, appoggiati da Rifondazione Comunista, ritira la causa contro l’accordo di novembre sul taglio del salario. Assemblee cittadine stracolme, dichiarazione del sindacato che impugnerà l’art. 28, lettera di 70 dipendenti all’Eco contro lo sciopero. Infine si di-mette la direzione e si raggiunge con la nuova l’accordo con il ritiro dei licenziamenti, il pagamento dei contributi per il periodo dello sciopero, il riconoscimento del consiglio di fabbrica.

Tre mesi dopo l’accordo, la direzione apre una trattativa con gli stabilimenti lombardi di Legnano e Cerro con lo stesso stile...

Intanto la causa sull’accordo di novembre ‘92 va avanti e in Pretura si trovano una quarantina di dipendenti a seguire le udien-ze. A metà ottobre ‘93 il pretore Patrizia Visaggi respinge le loro richieste, imponendo solo all’azienda di restituire a suo tempo gli interessi sul ‘prestito forzoso’. (vedi articoli).

Nell’autunno del ‘94, governo Berlusconi, si sciopera nel Pine-rolese contro la finanziaria e l’attacco alle pensioni (sarà poi Dini l’anno successivo a riuscire nell’operazione), sciopera anche la Manifattura e la Cascami Seta.

A inizio ‘95 inizia in fabbrica la rilevazione dei tempi e metodi. In primavera c’è l’elezione delle RSU (tre della UIL, due della CISL e uno della CGIL). Partecipa solo metà dei lavoratori.

Si fa la consultazione sulla riforma delle pensioni e nel Pinerole-se il 63% dei votanti dice no (tessili NO 83%). Comincia un’au-torganizzazione di delegati che si trovano a Pinerolo diffondendo volantini. Organizza uno sciopero nel Pinerolese autoconvocato che vede in sciopero 500 lavoratori, con corteo a Pinerolo da-vanti alle sedi sindacali. A fine luglio nasce ALP (Associazione La-voratori Pinerolesi) che comincia a prendere subito contatti col sin-dacalismo di base. Nell’autunno si fa il primo tesseramento in zo-na, ovviamente senza trattenuta in busta paga. Una settantina del-la Manifattura aderiscono. Poi col tempo si ridurranno di moltissi-mo perché non si riesce a costituire un collettivo interno alla fab-brica e per la mancanza di Rsu di ALP (non si è nemmeno pro-vato – ma in altre aziende ci si è trovati di fronte a un muro pa-dronale e confederale).

In marzo del ‘96 si fa un’assemblea dei tessili di ALP a Perosa, si continuerà nel tempo con i minatori. I sindacati confederali fan sapere il risultato del referendum per preparare la vertenza azien-dale: maggiori preferenze agli aumenti salariali. Si esce con un vo-lantino di protesta sulla fretta di concludere l’integrativo e su punti non concordati coi lavoratori. Alla fine di ottobre prolungandosi la trattativa per il contratto aziendale viene firmato un accordo per un’una tantum per l’anno 1996 che prevede 300.000 lorde per tutte e 100.000 legate alla presenza (bimestre novembre-dicem-bre). Con più di 50 ore di assenza sul Part time e più di 80 sul tempo pieno non si prende niente.

il 26 settembre 96 ALP organizza un convegno sulla democra-zia nei luoghi di lavoro, con settanta persone.

A inizio di febbraio i confederali distribuiscono l’ipotesi di ver-bale di accordo aziendale. L’azienda ha investito 3 miliardi nei Reparti Apertura-Preparazione-Filatura-Binatura (altri si prevedo-no in Preparazione Filatura-Gasatura) Viene istituito un premio di assiduità (85.000 lorde) e un premio di produttività qualità su va-rie voci (produttività, segnalazioni clienti, pneumafil filatura, anda-menti tagli stribbia, assenza mescolanza filato, costanza raggiungi-mento obiettivi). Vengono istituite due commissioni (professionali-tà e produttività/qualità – paritetiche lavoratori/azienda). Inoltre sperimentazione per un nuovo modello di part time e ripristino della mensa con un contributo aziendale di 2000 lire pasto + at-trezzature. Dopo i referendum interni viene firmato a marzo.

A maggio ‘97 in un’assemblea si comincia a parlare di cassa in-tegrazione in arrivo.

Comincia a fine maggio. A fine settembre sono in CIG 34 lavo-ratrici, la richiesta era per 60.

In ottobre assemblee, ALP volantina chiedendo la rotazione della CIG. Nelle assemblee i confederali dicono che nel ‘98 ci sarà CIG straordinaria e poi la mobilità.

A metà novembre assemblea sull’accordo per le pensioni. Non si vota. Continua la CIG e sovente si tengono ferme delle macchi-ne per mancanza di personale.

A inizio ‘98 continua la CIG ma l’azienda fa lavorare personale del part time in straordinario durante la settimana. Per le ferie in-dividuali possono assentarsi solo più 4 per turno (invece di 5) e so-lo due per reparto.

Ad aprile inizia il nuovo orario Part time (33 ore per 25 addetti: 6 ore +6 al sabato Domenica ed altre sui tre turni nella settimana). p.b.

ALCUNI COMMENTI

Quale insegnamento possiamo trarre dalla situazione della Ma-nifattura, fabbrica tra le più presenti nella fase della nascita dell’ALP, nelle lotte che l’hanno preceduta ed ora con una presen-za ridotta ad alcune unità e nessuna partecipazione alla vita della nostra Associazione?

1) Certamente la divisione e la disgregazione delle lavoratrici e lavo-ratori che avviene dall’instaurazione del lavoro part time al Sabato e Domenica, che non si è ricomposta ma al contrario si è appesantita.

2) Certamente le brutte sconfitte e la pesante situazione sinda-cale nel settore tessile nel quale la globalizzazione ha già fatto sen-tire da tempo gli effetti negativi.

3) Ma anche la nostra incapacità di collegarci, ricostruire ag-ganci, crescere militanti, cioè dare degli elementi di speranza più forti della depressione generalizzata, della sfiducia, della sindrome della sconfitta che si respira in questi anni.

4) La mancanza di rappresentanti interni ed esterni pesa molto. Alcune iscritte si sono rivolte alla Cgil non tanto perché ritenevano le difendesse meglio, ma solo per poter avere ‘un operatore sinda-cale che venisse a fare loro le assemblee’, sentirsi per così dire più coperte, più rassicurate da un sindacato che non piace più ma è certamente più potente ed istituzionale (proprio quello che si con-testava quando è nata ALP ma che poi – in mancanza di un’al-ternativa toccabile con mano – si ritorna ad accettare).

Che fare allora?

* Non lasciare troppo tempo scoperta una fabbrica ma conti-nuare a dire delle cose, a mantenere il dialogo aperto.

* Ripensare a dei momenti di incontro tra tutte le realtà dell’ALP in Valle (Cascami, Luzenac, SKF, Sachs Boge, Scuola, Ospedale Valdese, Pubblico Impiego ecc.) come scambio di espe-rienze, nel sentirsi un gruppo e legare maggiormente i problemi di fabbrica con le problematiche del territorio.

* Infine continuare nelle nostre iniziative con gli altri sindacati di base per l’attuazione della Legge sulla Rappresentanza che sicu-ramente ci può offrire spazi per mantenere dei collegamenti più stretti a partire dalla possibilità di partecipare alle elezioni delle RSU.

Enrico Lanza, 1998