di Sergio Buttiero
Guidò le prime
esperienze di molte personalità pinerolesi
Fondato
nel 1919 e affiliato all’Azione cattolica nel 1922, seppe resistere alle
censure del fascismo. Poi il “68” ne determinò il declino. L’ultimo
presidente fu Pier Luigi Valinotti
Fu la “Giovane
montagna” di Pinerolo, nata nel 1915 nell’oratorio della cattedrale per
gestire il tempo libero organizzando gite ed escursioni «nell’osservanza
del precetto festivo e nell’assoluta indipendenza in materia politica»,
l’anima del circolo “Silvio Pellico”, che per quasi cinquant’anni (si
sciolse nel 1968) formò, in vari campi, personalità rilevanti nella storia
della città. Esercitò infatti una profonda incidenza morale, religiosa,
sociale su generazioni che seppero esprimere preti, amministratori locali e
nazionali, sindacalisti, dirigenti d’azienda, insegnanti. Tra i tanti
Guglielmone, Bonino, Baldissarre, Asvisio, Bona, Borra, Priolo, Tajo, Petazzi,
Debernardi, Reita, Ameduri, Garis, Bernardi, Quadro, oltre a molti oscuri
servitori nei vari rami del volontariato.
Tra
la “Giovane” (presieduta da don Canavese) e il “Pellico” si espletò il
passaggio di consegne ideali tra un organismo giovanile parrocchiale e
un’associazione nazionale più direttamente inserita nel mondo ecclesiale,
perfezionata nei fini e negli strumenti dalle problematiche esperienze dei
cattolici, sconsigliati dal partecipare alla vita politica dal “non-expedit”
papale del 1874. Poi la “questione sociale” determinò l’enciclica
”Rerum novarum” del 1891, e forse anche per questo la Chiesa pinerolese
ritenne che la “Giovane montagna” potesse allargarsi all’educazione
giovanile, indirizzandola all’Azione cattolica. Ed è così che il 4 novembre
1919 il nuovo circolo fu intitolato a Silvio Pellico, personaggio di spicco del
Risorgimento che a Pinerolo, in piazza Duomo, aveva trascorso parte della sua
infanzia.
L’AFFILIAZIONE
ALL’AZIONE CATTOLICA
Il primo Consiglio
direttivo schierava Teresio Guglielmone presidente, Pierino Tajo vice ed i
consiglieri Brusa, Biancardi, Paglietta, Pons, Reita, don Canavese. Risale al
1922, l’anno della “marcia su Roma” l’affiliazione alla Gioventù
italiana di Azione cattolica (Giac). Centoventun soci. Lavorava sodo,
all’interno, soprattutto il gruppo “Avanguardia cattolica”: combatteva la
bestemmia e la pornografia, propugnava il ritorno del crocefisso nelle scuole,
insisteva sulla Messa festiva, sulla scuola di religione, sulle conferenze. Ed
ancora scuola di canto, sport, lo sforzo per sostenere abbonamenti a giornali e
riviste, approfondimento catechistico, pratica liturgica.
Il delitto Matteotti
del 1924 e le concomitanti scorribande dei fascisti inducono a tenere gli occhi
aperti. La direzione insiste quasi ossessivamente sulla formazione umana,
sull’educazione cristiana che dà vigore al coraggio di testimoniare una
cultura lontana dai modelli del fascismo.
Altro fronte di scontro
l’obbligo di adesione al sindacato unico. Un documento del 30 dicembre 1925
della Giunta centrale dell’Azione aattolica precisa che «i cattolici
organizzati non possono essere costretti a dare il loro nome ad altre
organizzazioni economiche e sindacali d’iniziativa privata», specie se
politicizzate.
Il 1926 non promette
bene: per evitare l’assorbimento nelle strutture statali l’Azione cattolica,
il 31 dicembre 1925, aveva avocato a sé l’incarico dell’assistenza a favore
delle istituzioni di beneficenza fondate o ispirate dalla carità cristiana,
«poiché sono imminenti nuovi provvedimenti legislativi ed a molte di tali
opere vengono già richieste adesioni ad organismi federativi locali e
nazionali…».
Né dorme sonni
tranquilli la redazione de “L’Eco del Chisone”: la stampa libera dà
fastidio. La Giunta centrale (Roma, dicembre 1926) fissa i criteri per i
giornali d’ispirazione cattolica. Invitati a divulgare il pensiero sociale
cattolico «applicato agli avvenimenti», nell’«indipendenza
assoluta da qualsiasi estranea influenza…». L’audacia è pagata
con la chiusura temporanea. L’intervento del canonico Cuatto, che agiva a nome
del vescovo, preservò “L’Eco”, che tornò in edicola ed evitò a ragazzi
e ragazze dei circoli cattolici l’iscrizione obbligatoria all’Opera Balilla.
Tempi duri, si doveva
scegliere. Il 29 marzo 1927 il socio Uc scriveva alla presidenza del circolo: «Avendo
inoltrato domanda per essere iscritto al partito nazionale fascista e
costituendo tale fatto un’incompatibilità colle disposizioni del regolamento
di codesto Circolo, prego l’on. Direzione di voler prendere atto delle
dimissioni che con questa mia intendo presentare da socio aderente».
VIETARE, SCIOGLIERE,
CONFISCARE
Gli Anni ‘30 segnano
un difficile equilibrio tra le esigenze educative e organizzative dei circoli
cattolici e le censure di regime. Lavorare in silenzio non basta, se l’Azione
cattolica da Roma lamenta (1931) «incidenti dolorosi e incresciosi diretti
a turbare la vita delle nostre associazioni». Segue l’invito a «segnalare
quei fatti che contengono violazioni dell’incolumità delle associazioni
cattoliche…». E la raccomandazione: «Si evitino azioni locali e
sporadiche di protesta: esse non fanno spesso che inacerbare situazioni più
gravi…».
Un fonogramma della
Questura (1931) ai commissari di Bardonecchia, Pinerolo e Susa detta le
condizioni per la riapertura dei circoli giovanili di Azione cattolica sciolti
dal regime: divieto di costituire associazioni professionali e sindacati di
mestiere e di svolgere qualsiasi attività di tipo atletico e sportivo;
operatività limitata a funzioni ricreative ed educative con finalità
religiose; divieto di occuparsi di politica e sostituzione di dirigenti
appartenuti a partiti avversari. Solo in tal caso sarebbero stati riconsegnati
ai vescovi gli oggetti requisiti. «Al fine di rendere più facile
l’operazione di consegna del materiale sequestrato delego i rev. parroci a
rilasciare regolare ricevuta, quali delegati del vescovo…», rispondeva
mons. Binaschi il 24 agosto 1931 al commissario di Pubblica sicurezza.
Anche bandiere e
distintivi cadono sotto la mannaia del regime. Da una circolare del 20 agosto
1931: «Le bandiere di tutte le associazioni di Azione cattolica devono
essere tricolori. Nel caso abbiano un proprio stendardo, questo non potrà
uscire se non insieme alla bandiera nazionale».
Elenchi soci,
regolamenti interni, attività: tutto viene visionato. Anche lo svago. Una
circolare dell’Opera nazionale dopolavoro di Torino (17 giugno 1931) monitora
persino le feste patronali. «Deve il dopolavoro dare l’opera propria
agendo in perfetto accordo, ma non in subordine, con le autorità
ecclesiastiche. Si lasci, naturalmente, ai parroci la più ampia autonomia per
tutto quanto ha tratto alla parte religiosa; ma l’organizzazione, la raccolta
dei fondi necessari alla buona riuscita della festa, le rievocazioni storiche e
folcloristiche annesse siano, dall’inizio alla fine, curate e seguite dai dopolavoro».
(firmato: l’ispettore superiore per il Piemonte G. Giro)
LA VALVOLA
“TEATRO”
Rischioso parlare,
rischioso scrivere. Per aggirare l’ostacolo i messaggi si affidano alle
rappresentazioni teatrali. Recite su recite, in via Del Pino a Pinerolo e in
tanti saloni parrocchiali del Pinerolese, assicurate da giovani come Chiarotti,
Zane, Priolo, Caneparo, Canal, Rena, Mangano, Mattarollo, Calliero, Ruffino,
Borra, Pachiotti, Tosello, Bonardello, Petazzi e più avanti da Quadro, don Lisa
e Italo Tajo, che sarebbe poi diventato un grande lirico in America.
Il circolo Silvio
Pellico, nel 20º di fondazione, apre, nei locali di piazza Marconi, il Centro
per militari che accoglie, la sera, giovani cattolici provenienti da
tutt’Italia. Il Paese è diviso a metà dopo l’8 settembre 43. Rappresenta
l’Azione cattolica nell’Alta Italia il prof. Carlo Carretto di Torino,
vice-presidente centrale, grande amico di don Giovanni Barra.
Gennaio 1945: a Mario Bertolino, militare a Pisa durante l’occupazione
nazista, che chiedeva notizie sulla sorte del Circolo, il pinerolese mons.
Albino Gallettovice, assistente centrale della Gioventù cattolica (Giac) a Roma
comunica che «…i bravi soci lavorano con zelo e resistono ai nazifascisti».
LA LIBERAZIONE E UN
INTENSO ‘48
Subito dopo la
Liberazione si ricostituiscono il Centro sportivo italiano, il movimento
scoutistico e nasce l’Unione sportiva ”Virtus”. La ”Pellico”, nel 25º
di fondazione, ricorda gli anni difficili della dittatura, i 64 soci chiamati
alla guerra, i 13 internati, i 19 prigionieri, i 12 partigiani ed avvolge in un
particolare clima di riconoscenza i fondatori: Mattey, Guglielmone, Trogolo,
Reita, Bona, Foglino, Mattalia, Castellaro, Tajo, Vairolatti, Ferrero, Barbieri,
Cagnasso, Pettazzi, Tabone, Massera, Bertello, Gillo, Chiarotti, Caramassia,
Canal, Priolo, Borra, Bigotti, Garis.
Galvanizza i programmi
del 1948 il grande convegno nazionale a Roma che celebra l’80º della Gioventù
cattolica. Vi partecipano trenta soci, con tanto di basco verde, al canto di
“Bianco Padre” e “Avanti gioventù” È anche l’anno delle elezioni
politiche. Guidano la “Silvio Pellico” don Giovanni Barra e Mario Frassino.
LA CONTESTAZIONE
Anni ‘50 e ‘60:
iniziative d’ogni genere tengono in tensione tutti i rami dell’associazione,
ma nel 1967 i fermenti che serpeggiano nelle scuole, nella politica, in certi
settori della Chiesa sottolineano l’opportunità di un adeguamento nelle
strutture organizzative. Inizia il periodo della ”contestazione” o del
“sessantotto” inteso come data comunemente accettata, anche se i sintomi la
Silvio Pellico li avvertì fin dal 1961 nel nuovo sentire di alcuni dirigenti
del Centro diocesano di Azione cattolica. I rituali della vita associativa
s’incrinano quando, informalmente, si crea all’interno un nuovo gruppo
studentesco. Da un verbale del 1962: «Un fattore è venuto ad amareggiare
l’animo dei dirigenti: un socio animato da idee discutibilissime e del tutto
gratuite ha creduto di creare attorno alla propria persona un mito, un caso
di coscienza ed ha lasciato l’associazione».
Rapporti difficili. Tant’è
che nel 1964 il direttivo «con indicibile rammarico - annuncia la -
sospensione di 9 soci, per la maggioranza dirigenti, sordi a qualsiasi richiamo
di instaurare nel loro linguaggio un marchio di buona creanza».
«C’è un mondo
che ridiventa pagano, c’è una gioventù che ha perso il senso morale, c’è
un egoismo sfrenato, c’è un senso di indifferenza per il dolore altrui» asseriva,
nel 1965, l’assistente don Franco Gallea.
1965: un socio,
militare a Bracciano, scriveva agli amici di Pinerolo: «Sto trascorrendo,
non perché ne sento il dovere ma soltanto perché è un obbligo, 15 mesi che in
fondo non serviranno né a me né agli altri… Nemmeno a scopo di difesa si può
ormai giustificare un esercito». Grosso problema che troverà soluzione più
tardi.
Sempre più difficile:
l’approccio con i giovani non funziona. Gradualmente le strutture cedono il
posto a gruppi spontanei che agiscono a ruota libera. La relazione del 1967
conclude: «Si impone una revisione di tutta l’Azione cattolica senza paura
di fare tentativi nuovi…».
L’ULTIMO
PRESIDENTE
Inutilmente. Nel 1968
la Silvio Pellico recita il suo “De Profundis”. L’ultimo presidente, Pier
Luigi Valinotti, racconta di un gruppo dirigente «che nulla più aveva dei
crismi della elezione da parte dei soci, ma che vivacchiava in modo informale
sull’onda del tutto da rifare». Gli tocca di comunicare a Roma che la
Silvio Pellico non rinnoverà il tesseramento. Il progetto educativo
dell’Azione cattolica non è più condiviso da tutti.
Risale al novembre del
1969 il primo incontro degli ex-soci, promosso da Carlo Borra che si rinnoverà
sino al 1999 in ricorrenze anniversarie.
Fu solo la
contestazione studentesca a decretare la fine della “Silvio Pellco”?
Salvatore Ameduri, negli Anni ’60 delegato Aspiranti (ragazzi dai 6 ai 14
anni) aggiunge altri elementi di valutazione. Allora convinto assertore
dell’inadeguatezza del modello pedagogico dell’Azione cattolica giovanile,
fu tra coloro che si batterono per sostituire con gruppi di lavoro le adunanze
generali. La partecipazione ai campi scuola e alle settimane studentesche a Casa
alpina di Pragelato, iniziative rivolte ai giovani immigrati del centro storico
di Pinerolo, il diritto di cittadinanza della parola “politica” che negli
Anni ’60 non godeva di particolare simpatia perché motivo di divisione e di
compromissione.
Oggi, a mente fredda,
sono meglio valutabili gli elementi generali che determinarono la crisi.
Indirettamente il Concilio Vaticano II (spesso a torto strattonato da più
parti) con le sue dichiarazioni sul ruolo dei laici nella Chiesa, il rifiuto del
passato che caratterizzò tante manifestazioni sociali, le nuove
sperimentazioni, specie nella scuola, il convincimento che tutto fosse
riconducibile alla “politica”. Ed ancora un nuovo vento di libertà,
talvolta estremizzato, che non accetta regole non condivise, un associazionismo
impreparato di fronte a modelli nuovi di testimonianza, un clero timoroso e
restio a cogliere certi segni nella pastorale giovanile, una ridotta sensibilità
religiosa. Mille perché che nulla tolgono a quello che fu un grande laboratorio
intensamente vissuto con spirito di servizio.
DIDASCALIE
FOTO 1 – Nonostante
la chiusura dell’associazione nel 1968, periodicamente gli ex-soci si
ritrovano. Qui nel 1985 in occasione del 65º anno di fondazione
FOTO 2 - Il 35º della
“Pellico” è celebrato con il 30º degli uomini di Azione cattolica. Con don
Barra (il terzo da destra accosciato) si riconoscono il can. Rayé, il sen.
Guglielmone, Asvisio, Bernardi, Debernardi, il giudice Cagnasso e don Lisa
FOTO 3 – Alcuni
dirigenti in una foto del 1950. Da sinistra in piedi: Dentis, Reita, Molino,
Frassino, don Barra, Devernardi, Mondino, Bigotti, Bia. Accosciati: Percivati,
Quadro, Fava
FOTO 4 – 1948, Roma,
convegno dei 300mila “Baschi verdi”. Il circolo partecipò con 37 soci,
assieme ad alcune centinaia di giovani da vari paesi del Pinerolese
FOTO 5 – Foto con
dedica del basso Italo Tajo alla “Silvio Pellico” di cui fu socio
FOTO 6 – La
Filodrammatica della Silvio Pellico in una rappresentazione del 1952