Nel
dopoguerra costruire case è un affare: forte domanda causata dalle necessità
della ricostruzione e dai flussi migratori, vincoli burocratici minimi,
possibilità di sfruttare una manodopera sottopagata; lo Stato sostiene
l’edilizia con sgravi fiscali, crediti e sovvenzioni.
Gli
speculatori hanno campo libero in assenza di qualunque pianificazione. Esiste in
teoria una legge urbanistica (L.17 agosto 1942 n. 1150) che conferisce ai Comuni
dotati di Piano Regolatore Generale ampi poteri di pianificazione e di
esproprio. Ma il primo PRG ai sensi della legge urbanistica viene adottato solo
nel 1953 (è quello di Milano) e i poteri di esproprio rimangono lettera morta
in tutta Italia.
A
Milano, in attesa della promulgazione del PRG la ricostruzione avviene
praticamente senza alcun controllo, con massicci sventramenti. Mezza città
viene edificata “in precario” con licenza edilizia “provvisoria”, né
d’altra parte l’adozione del Piano Regolatore modifica di molto le cose,
anzi gran parte delle aree destinate ad uso agricolo vengono edificate con il
solito trucco delle licenze “in precario”.
Per
i ceti più poveri il problema della casa è drammatico; il Governo è costretto
ad intervenire da un lato con il “blocco dei fitti” che, varato nel 1945
rimane in vigore (via via modificato) fino al luglio 1978 (entrata in vigore
dell’Equo canone), dall’altro con un piano di costruzione di case
popolari, affidato prima all’INA casa (1949-1963) poi alla GESCAL (1963-74).
La
gestione dei fondi GESCAL, alimentati da un’apposita trattenuta sulla busta
paga di tutti i lavoratori, dà luogo a clamorose malversazioni. La GESCAL
anziché costruire preferisce depositare i suoi fondi in banca cosicché gli
Istituti Autonomi Case Popolari e gli altri enti edilizi pubblici sono costretti
a chiedere a quelle stesse banche prestiti a forti interessi. Al 31.12.1971
oltre 1.800 miliardi di lire provenienti da questi fondi risultano inutilizzati
mentre nel paese cresce la fame di abitazioni.
I
nuovi quartieri di edilizia pubblica vengono edificati in estrema periferia dove
più basso è il costo dei terreni, nascono così mostruosi quartieri ghetto per
i ceti proletari. Le strade di collegamento e le infrastrutture necessarie
vengono costruite a spese pubbliche, col risultato di valorizzare i terreni
delle zone intermedie, proprietà delle solite società immobiliari (1).
Le grandi lotte degli anni settanta
Nei
primi anni settanta prende il via in tutta Italia un poderoso movimento di lotta
per la casa.
A
Milano abbiamo una serie di occupazioni di alloggi sfitti: al Gallaratese
(settembre 1970), in via Mac Mahon (gennaio 1971), in uno stabile in costruzione
dello IACP in via Tibaldi (giugno 1971)
Le
occupazioni vengono sgomberate dalla polizia dando spesso luogo a cariche
violente, scontri, barricate, arresti ma la lotta si conclude in genere con una
vittoria e la concessione a tutti di una casa popolare.
Nel
periodo 1975-1977 si ha una nuova esplosione di occupazioni. In questo caso la
lotta non si rivolge più prioritariamente verso case popolari ma vengono
occupati stabili in abbandono situati spesso in zone centrali. Il nuovo ciclo di
lotte è caratterizzato dal tentativo di coniugare le esigenze di ottenere casa
da parte di famiglie proletarie e l’esigenza di aprire centri sociali espressa
dal “movimento”. Si hanno così (solo per citare qualche nome) le
occupazioni di via Marco Polo 7, via Correggio 18, corso Garibaldi 89, via Santa
Marta, corso San Gottardo 24, del
C.S. Leoncavallo… tutti stabili destinati a fungere, negli anni successivi, da
poli dell’aggregazione antagonista in città (2).
In
questo contesto il 26 luglio 1976 viene occupato lo stabile di via Conchetta 18
nel quartiere Ticinese (uno dei più degradati della città). L’iniziativa
parte da alcuni gruppi di
lavoratori anarchici privi di sede (il collegamento lavoratori libertari e il
collegamento lavoratori ospedalieri libertari) e coinvolge numerose individualità.
“L’idea
dell’occupazione – dichiara ad A- rivista anarchica uno dei promotori
dell’iniziativa – è nata da due esigenze diverse: da un lato l’esigenza
sacrosanta di alcune famiglie di avere una casa in cui abitare e dall’altro
l’esigenza di alcuni gruppi anarchici della zona sud est di Milano di avere
una sede in cui riunirsi e in cui portare avanti la loro attività. Per
soddisfare contemporaneamente queste due esigenze abbiamo scelto di occupare
proprio questa casa di via Conchetta perché in essa c’era anche questo grande
negozio formato da tre stanze che ci ha permesso di dare una sede politica ai
gruppi della zona e di fare anche un centro sociale […]” (3).
Nasce
così in città un terzo polo anarchico che si affianca al circolo Ponte della
Ghisolfa di piazzale Lugano e alla sede FAI di via fratelli Bozzi. Il Centro
sociale è molto frequentato e ricco di iniziative. Periodicamente si riunisce
l’assemblea degli occupanti che prende le decisioni fondamentali.
“perché
lottiamo ?” titola un volantino del 27.8.1976 rivendicando l’identità
anarchica dell’occupazione nella lotta contro la speculazione edilizia
“vogliamo creare una società di liberi ed uguali, vogliamo modificare questa
città iniziando, anche in questo quartiere popolare, un lavoro sociale fra gli
abitanti, con tutti coloro che, come uomini, vogliono creare una società nuova,
una società senza servi e senza padroni. Ecco perché ci opponiamo alla
distruzione di questo quartiere. Invitiamo tutti coloro che sono a conoscenza di
case o di alloggi vuoti a darne notizia al centro sociale. Tutte le famiglie che
hanno bisogno di case prendano contatto con il comitato d’occupazione”
via Torricelli 19
L’atto
successivo, in settembre, è l’occupazione della casa di via Torricelli 19, lo
stabile è semivuoto, negli appartamenti liberi si stabiliscono alcune famiglie
senza casa mentre i negozi al pianterreno vengono utilizzati per attività
sociali.
Un
volantino datato 9 ottobre 1976 e firmato “le famiglie del comitato
d’occupazione di via Conchetta 18 e via Torricelli 19” riporta le
motivazioni dell’occupazione come sono state individuate dalle famiglie
riunite in assemblea “PERCHÉ OCCUPARE LE CASE. Perché non ci sono case
spaziose e quelle che ci sono costano troppo. Abbiamo occupato case vuote da
anni che il padrone voleva abbattere per costruire palazzi nuovi con affitti
esosi. Ci siamo prese queste case più grandi perché abitavamo in topaie (due
famiglie in 2 locali). Abbiamo requisito le case vuote perché dove eravamo
prima gli affitti erano troppo alti e la vita continua a crescere e non si può
più pagare l’affitto a meno che si salta da mangiare noi e i nostri figli.
Noi non abbiamo occupato per non pagare il canone ma per poter pagarne uno
giusto e lo si può ottenere solo organizzandosi diventando più forti dei
padroni. Perché è stato fatto questo volantino ? per portare a conoscenza ai
lavoratori e agli abitanti del quartiere che sono nelle nostre stesse condizioni
a prendere esempio e a organizzarsi per combattere i padroni di casa come tante
famiglie hanno fatto qui. Chiediamo la solidarietà di tutti per combattere le
speculazioni e l’aumento del tenore di vita che ci induce a vivere in
condizioni precarie.”.
La
vita in una casa occupata determina una situazione completamente nuova.
L’edificio si trasforma in uno spazio “liberato” al cui interno il potere
normativo statale è di fatto sospeso. La comunità degli occupanti deve darsi
nuove regole, condivise da tutti, e questa è la sfida principale. Occorre
stabilire una linea comune da utilizzare nei confronti della proprietà e del
quartiere, individuare i comportamenti leciti e illeciti e le sanzioni nei
confronti di chi non rispetta le regole (normalmente l’espulsione dalla casa),
ma anche, più banalmente, stabilire turni di pulizia degli spazi comuni e
regole per alimentare l’eventuale cassa comune.
L’impresa
non risulta sempre facile. Tende inevitabilmente a crearsi una dialettica tra
chi vive nella casa e chi solo frequenta le attività sociali ma soprattutto,
nell’ambito degli abitanti, tra i “compagni” e le “famiglie”.
Se
i “compagni”vivono l’occupazione come un’esperienza esaltante, prodromo
di quella rivoluzione sociale che in questi anni sembra dietro l’angolo e
partecipano in genere alle attività sociali e politiche (o, perlomeno, sono
sufficientemente presenti alle periodiche assemblee degli occupanti) le
“famiglie”, una volta risolto il problema immediato dell’alloggio, tendono
a disinteressarsi della vita comune.
Questa
ambivalenza si coniuga ovviamente in modo diverso nelle diverse esperienze. Così
se in via Torricelli le “famiglie” sono sufficientemente presenti alle
assemblee degli occupanti (denominate “comitato d’occupazione”), in via
Conchetta (a causa anche del trasferimento progressivo nei più spaziosi locali
di via Torricelli di quasi tutte le attività sociali) il comitato
d’occupazione finirà praticamente per non riunirsi più. In via Correggio 18,
agli inizi degli anni ’80, le “famiglie” non partecipano praticamente mai
all’assemblea settimanale.
Talvolta
l’origine sottoproletaria di diverse “famiglie” genera problemi interni di
difficile gestione.
Così
nel corso del 1979 in via Torricelli si scopre che un paio di occupanti
spacciano stupefacenti e svolgono altre attività mafiose, il Comitato di
occupazione decide di espellerli.
L’operazione
avviene apparentemente senza resistenze ma si apre un periodo di tensione.
Qualche mese dopo degli sconosciuti sparano ad un occupante sulle scale di casa
(si sospetta una vendetta degli espulsi nei confronti di un “amico” che non
aveva solidarizzato con loro) e verso le due del mattino di sabato 10 novembre
1979 un ordigno esplosivo scardina la saracinesca del Centro sociale anarchico
facendola volare fino all’altro lato della via. È un puro caso che non si
registrino vittime (4).
L’attentato
non è mai stato rivendicato e quindi si sospetta una vendetta dei mafiosi,
anche se non si può escludere un attacco fascista.
Sintomatico
anche il caso del quartiere Stadera, dove si verifica nel corso degli anni un
ampio movimento spontaneo di occupazione di alloggi IACP, che in alcuni momenti
saprà esprimere (come vedremo) importanti momenti di organizzazione e di lotta.
Un movimento però accanto al quale convive la lucrosa attività di alcuni
personaggi che occupano gli alloggi al fine di “venderli” a famiglie
bisognose.
All’interno
del Centro Sociale nel corso del 1979 si costituisce il Comitato di lotta per la
casa per rilanciare le occupazioni.
Il
Comitato svolge un censimento degli alloggi sfitti in Ticinese e dà inizio ad
una lunga serie di occupazioni di singoli alloggi e di interventi contro le
vendite frazionate in via Torricelli, via Pavia, via Custodi 14, via Bligny 42,
corso S. Gottardo 14, piazza XXIV Maggio…. Se alcune occupazioni terminano
dopo poche ore con l’arrivo della polizia che sgombera gli alloggi e porta gli
occupanti in questura, nella maggior parte dei casi le occupazioni si
consolidano e i proprietari si trovano costretti a regolarizzarle con un
contratto di affitto. Gli interventi contro le vendite frazionate si risolvono
invece in genere in un insuccesso, di fronte alla minaccia dello sfratto gli
inquilini preferiscono acquistare l’alloggio accollandosi così le onerose
spese di ristrutturazione.
Da
notare anche un progressivo cambiamento nelle tecniche di occupazione. Se nel
periodo 1975-77 le occupazioni avvengono “alla luce del sole” con corteo,
bandiere, striscioni, volantini e immediata rivendicazione, alla fine del
decennio, dopo il sequestro Moro (marzo-maggio 1978), il clima è completamente
mutato. La città è militarizzata e blindati della polizia sostano in
permanenza agli angoli più trafficati.
Una
delle ultime occupazioni “alla luce del sole” è sicuramente quella di
alcuni appartamenti in via Raffaello Sanzio 8 il 17 febbraio 1979, ma ormai si
tende a passare a meno impegnative occupazioni “alla spicciolata”, gli
occupanti entrano cercando di farsi notare il meno possibile all’esterno,
prendono contatto con gli altri inquilini dello stabile per acquisirne il
consenso e l’occupazione viene pubblicamente rivendicata solo dopo alcuni
giorni di “consolidamento”.
Questa
trasformazione è determinata dalla progressiva riduzione del numero dei
militanti (all’epoca non ancora percepibile), dalla sempre minore tolleranza
delle forze dell’ordine, dal progressivo passaggio dall’occupazione di
interi stabili (ormai quasi tutti saturati nella fase precedente)
all’occupazione di alloggi singoli.
Il
fatto che ora si occupino alloggi singoli (o gruppi di 3-4 alloggi) rende ancora
più difficile mantenere stabili legami con le “famiglie”.
Viene
costituito un Coordinamento cittadino di lotta per la casa con sede in via
Correggio 18 a cui partecipano oltre al Comitato di lotta “Ticinese-Genova”
(con sede prima in via Torricelli 19 e poi in via Savona 13), il Comitato di
lotta S. Siro (piazza Selinunte 3, attivo nell’occupazione di case popolari),
il Circolo Romana (corso Lodi 8), le occupazioni di via Rembrandt e via Sanzio
mentre altre realtà partecipano saltuariamente alle iniziative. La
composizione ideologica dei militanti è abbastanza variegata: prevalente
l’area libertaria con presenze genericamente riconducibili all’area
dell’autonomia ed il polo internazionalista del Circolo Romana (facente capo
alla rivista “il Programma Comunista” e poi “Combat”).
Il
Coordinamento interviene a sostegno delle singole realtà di quartiere e
promuove altre occupazioni come in via Farini 8 (dove la proprietà tenta di
cacciare gli occupanti ricorrendo persino a minacce a mano armata).
Particolarmente
importante l’intervento nel quartiere Stadera, qui si era sviluppato negli
anni precedenti un movimento spontaneo di occupazione di singoli alloggi IACP,
il tentativo da parte dell’Istituto di procedere il 13 settembre 1982 ad una
serie di sgomberi provoca un vero e proprio sommovimento popolare. Via Montegani
viene bloccata per alcuni giorni da un presidio spontaneo, si organizzano
assemblee e manifestazioni, un comitato si costituisce in via Palmieri 6. La
mobilitazione obbligherà l’Istituto a rinviare gli sgomberi ed una sanatoria
regionale finirà poi per regolarizzare buona parte degli occupanti (5).
Il
Coordinamento cerca anche di superare i limiti cittadini, vengono stretti
contatti a livello nazionale ed il 26 giugno 1980 si tiene un convegno a Firenze
a cui partecipano il Comitato proletario casa di quella città e realtà di
Mestre e Padova.
Grazie
alla costante mobilitazione gli occupanti di via Torricelli 19 riescono ad
ottenere che il Comune acquisisca lo stabile (1979 circa); gli accordi prevedono
che l’edificio venga ristrutturato, gli occupanti (centro sociale incluso)
regolarizzati e trasferiti in altri locali, cosa che avviene a giugno 1981. Dopo
la ristrutturazione ex occupanti e centro sociale sono tornati nello stabile.
Anche in via Conchetta 18, dopo un fallimentare tentativo da parte della
proprietà di procedere alle vendite frazionate, l’edificio viene acquisito
dal Comune e gli occupanti ottengono una casa popolare. Il Centro sociale (dopo
una lunga serie di vicende che travalicano l’ambito di questa ricerca) è
ancora occupato.
“In LINEA GENERALE
– recita un documento stilato in via Conchetta nell’agosto-settembre 1977 ed
ampiamente condiviso- il Collettivo deve tendere a vivere nelle lotte del
quartiere, con l’intento di fungere al 1oro interno da elemento rivoluzionario
e anarchico.
Questo significa:a)
rifiutare in ogni momento il ruolo dell’avanguardia, che riproduce la delega e
impedisce l'autorganizzazione delle lotte,.‑ In, questo senso occorre
abbandonare la dirigenza delle lotte o dei momenti di organizzazione (ad es,assemblee
di caseggiato) per favorire, al contrario, la presa di coscienza autonoma delle
masse (inquilini e lavoratori, disoccupati sottoccupati, massaie ecc.) ‑
b) spingere affinché le lotte abbiano obiettivi rivoluzionari e non si fermino
a obiettivi intermedi. Su questo punto occorre fare molta chiarezza: i
proletari, abituati dai sindacati alla logica riformista, spesso tendono a
considerare conclusa la lotta ove si sia raggiunto il primo obiettivo (cesso
migliore, revoca dell’aumento dell'affitto ecc.) [è] nostro compito agire
affinché ciò non succeda perché. logicamente. ogni obiettivo è parziale
all'infuori della rivoluzione.”
NOTE
I
volantini e i documenti citati, ove non altrimenti indicato, appartengono alla
collezione privata dell’autore.
UN
= Umanità nova settimanale anarchico.
(1)
cfr. M. Preite, Edilizia pubblica in Italia : dalla ricostruzione al piano
decennale, Firenze, Vallecchi, 1979
(2)
Varrebbe veramente la pena di scrivere la storia di ogni singola occupazione,
per dare ragione della ricchezza espressa dal movimento in questi anni; il
Leoncavallo – scrive Primo Moroni “è stata un’occupazione unitaria,
diretta espressione di organismi politici adulti, formatisi negli anni
successivi al ’68. […] la scelta da parte di tutte queste forze d’occupare
unitariamente lo stabile [una fabbrica dismessa che copre 3.600 mq] avviene
perché ci si era resi conto che l’ottica della fabbrica aveva invaso il
sociale e che quindi bisognava creare dei luoghi di riferimento nei quartieri
che funzionassero da cuscinetto tra le organizzazioni e la società civile” (P.Moroni,
il contesto storico http://www.ecn.org/leoncavallo/storic/moroni.htm
)
L'occupazione di Via
Correggio 18, realizzata dal Comitato di Quartiere Magenta “venne fatta attorno
al 10 aprile 1975, nei giorni in cui venivano uccisi Varalli e Zibecchi. La
novità, per i gruppi [della sinistra extraparlamentare], era che c'erano anche
occupanti giovani e politicizzati, mentre di solito si trattava di famiglie
rigorosamente proletarie (cioè, secondo il cliché dell'epoca, meridionali e
con molti figli).[…] L'idea era che la famiglia avesse più possibilità di
resistere in caso di minaccia di sgombero, facendo leva sulla situazione
"oggettivamente" difficile dei soggetti. Si intrattennero lunghissimi
ed estenuanti rapporti con il Consiglio di Zona 6 (Magenta-Sempione) […]”
(testimonianza di un ex occupante all’autore).
(3)
La casa è di chi l’abita, A rivista anarchica, ottobre 1976.
(4)
Attentato contro centro sociale anarchico, A rivista anarchica, dicembre
1979-gennaio 1980.
(5)
C. Scarinzi, Comunità proletaria e lotta per la casa, UN, 3 ottobre
1982; Milano: continua la lotta per la casa,UN, 31 ottobre 1982.
(6)
la storia dello sgombero e della successiva lotta di via Correggio è abbastanza
ben documentata su Umanità nova del periodo; cfr. in particolare i nn. Del
27 maggio, 3 giugno, 10 giugno, 21 ottobre,
4 novembre, 18 novembre 1984, 17 marzo, 7 aprile, 2 giugno e 20 ottobre
1985. Numerosi erano gli organismi che operavano in via Correggio, tra questi
ricordiamo il giornale Wobbly e i coordinamenti di precari che vi
facevano riferimento ed il Virus sulle cui vicende cfr. M.
Philopat, Costretti a sanguinare Romanzo sul punk 1977-84, Milano,
ShaKe, 1997.
(7)
cdl Ticinese-Genova, L’Equo canone alla resa dei conti, UN, 3 marzo
1983; “Equo canone” tempo di aumenti, UN, 29 settembre 1983; cdl
Ticinese- Genova, Verso la revisione dell’equo canone, UN 27 maggio
1984.