Gli anarchici e la lotta per la casa. Milano 1976-1984

La presente ricerca si propone – senza alcuna pretesa di completezza - di tracciare un bilancio dell’intervento degli anarchici nella lotta per la casa a Milano tra il luglio 1976 (occupazione di via Conchetta 18) e il maggio 1984 (sgombero di via Correggio 18).

 

Il problema casa dal dopoguerra agli anni ‘70

Nel dopoguerra costruire case è un affare: forte domanda causata dalle necessità della ricostruzione e dai flussi migratori, vincoli burocratici minimi, possibilità di sfruttare una manodopera sottopagata; lo Stato sostiene l’edilizia con sgravi fiscali, crediti e sovvenzioni.

Gli speculatori hanno campo libero in assenza di qualunque pianificazione. Esiste in teoria una legge urbanistica (L.17 agosto 1942 n. 1150) che conferisce ai Comuni dotati di Piano Regolatore Generale ampi poteri di pianificazione e di esproprio. Ma il primo PRG ai sensi della legge urbanistica viene adottato solo nel 1953 (è quello di Milano) e i poteri di esproprio rimangono lettera morta in tutta Italia.

A Milano, in attesa della promulgazione del PRG la ricostruzione avviene praticamente senza alcun controllo, con massicci sventramenti. Mezza città viene edificata “in precario” con licenza edilizia “provvisoria”, né d’altra parte l’adozione del Piano Regolatore modifica di molto le cose, anzi gran parte delle aree destinate ad uso agricolo vengono edificate con il solito trucco delle licenze “in precario”.

 

Per i ceti più poveri il problema della casa è drammatico; il Governo è costretto ad intervenire da un lato con il “blocco dei fitti” che, varato nel 1945 rimane in vigore (via via modificato) fino al luglio 1978 (entrata in vigore dell’Equo canone), dall’altro con un piano di costruzione di case popolari, affidato prima all’INA casa (1949-1963) poi alla GESCAL (1963-74).

La gestione dei fondi GESCAL, alimentati da un’apposita trattenuta sulla busta paga di tutti i lavoratori, dà luogo a clamorose malversazioni. La GESCAL anziché costruire preferisce depositare i suoi fondi in banca cosicché gli Istituti Autonomi Case Popolari e gli altri enti edilizi pubblici sono costretti a chiedere a quelle stesse banche prestiti a forti interessi. Al 31.12.1971 oltre 1.800 miliardi di lire provenienti da questi fondi risultano inutilizzati mentre nel paese cresce la fame di abitazioni.

 

I nuovi quartieri di edilizia pubblica vengono edificati in estrema periferia dove più basso è il costo dei terreni, nascono così mostruosi quartieri ghetto per i ceti proletari. Le strade di collegamento e le infrastrutture necessarie vengono costruite a spese pubbliche, col risultato di valorizzare i terreni delle zone intermedie, proprietà delle solite società immobiliari (1).

 

Le grandi lotte degli anni settanta

Nei primi anni settanta prende il via in tutta Italia un poderoso movimento di lotta per la casa.

A Milano abbiamo una serie di occupazioni di alloggi sfitti: al Gallaratese (settembre 1970), in via Mac Mahon (gennaio 1971), in uno stabile in costruzione dello IACP in via Tibaldi (giugno 1971)

Le occupazioni vengono sgomberate dalla polizia dando spesso luogo a cariche violente, scontri, barricate, arresti ma la lotta si conclude in genere con una vittoria e la concessione a tutti di una casa popolare.

Nel periodo 1975-1977 si ha una nuova esplosione di occupazioni. In questo caso la lotta non si rivolge più prioritariamente verso case popolari ma vengono occupati stabili in abbandono situati spesso in zone centrali. Il nuovo ciclo di lotte è caratterizzato dal tentativo di coniugare le esigenze di ottenere casa da parte di famiglie proletarie e l’esigenza di aprire centri sociali espressa dal “movimento”. Si hanno così (solo per citare qualche nome) le occupazioni di via Marco Polo 7, via Correggio 18, corso Garibaldi 89, via Santa Marta,  corso San Gottardo 24, del C.S. Leoncavallo… tutti stabili destinati a fungere, negli anni successivi, da poli dell’aggregazione antagonista in città (2).

 

via Conchetta 18

In questo contesto il 26 luglio 1976 viene occupato lo stabile di via Conchetta 18 nel quartiere Ticinese (uno dei più degradati della città). L’iniziativa parte da  alcuni gruppi di lavoratori anarchici privi di sede (il collegamento lavoratori libertari e il collegamento lavoratori ospedalieri libertari) e coinvolge numerose individualità.

“L’idea dell’occupazione – dichiara ad A- rivista anarchica uno dei promotori dell’iniziativa – è nata da due esigenze diverse: da un lato l’esigenza sacrosanta di alcune famiglie di avere una casa in cui abitare e dall’altro l’esigenza di alcuni gruppi anarchici della zona sud est di Milano di avere una sede in cui riunirsi e in cui portare avanti la loro attività. Per soddisfare contemporaneamente queste due esigenze abbiamo scelto di occupare proprio questa casa di via Conchetta perché in essa c’era anche questo grande negozio formato da tre stanze che ci ha permesso di dare una sede politica ai gruppi della zona e di fare anche un centro sociale […]” (3).

Nasce così in città un terzo polo anarchico che si affianca al circolo Ponte della Ghisolfa di piazzale Lugano e alla sede FAI di via fratelli Bozzi. Il Centro sociale è molto frequentato e ricco di iniziative. Periodicamente si riunisce l’assemblea degli occupanti che prende le decisioni fondamentali.

“perché lottiamo ?” titola un volantino del 27.8.1976 rivendicando l’identità anarchica dell’occupazione nella lotta contro la speculazione edilizia “vogliamo creare una società di liberi ed uguali, vogliamo modificare questa città iniziando, anche in questo quartiere popolare, un lavoro sociale fra gli abitanti, con tutti coloro che, come uomini, vogliono creare una società nuova, una società senza servi e senza padroni. Ecco perché ci opponiamo alla distruzione di questo quartiere. Invitiamo tutti coloro che sono a conoscenza di case o di alloggi vuoti a darne notizia al centro sociale. Tutte le famiglie che hanno bisogno di case prendano contatto con il comitato d’occupazione”

 

via Torricelli 19

L’atto successivo, in settembre, è l’occupazione della casa di via Torricelli 19, lo stabile è semivuoto, negli appartamenti liberi si stabiliscono alcune famiglie senza casa mentre i negozi al pianterreno vengono utilizzati per attività sociali.

Un volantino datato 9 ottobre 1976 e firmato “le famiglie del comitato d’occupazione di via Conchetta 18 e via Torricelli 19” riporta le motivazioni dell’occupazione come sono state individuate dalle famiglie riunite in assemblea “PERCHÉ OCCUPARE LE CASE. Perché non ci sono case spaziose e quelle che ci sono costano troppo. Abbiamo occupato case vuote da anni che il padrone voleva abbattere per costruire palazzi nuovi con affitti esosi. Ci siamo prese queste case più grandi perché abitavamo in topaie (due famiglie in 2 locali). Abbiamo requisito le case vuote perché dove eravamo prima gli affitti erano troppo alti e la vita continua a crescere e non si può più pagare l’affitto a meno che si salta da mangiare noi e i nostri figli. Noi non abbiamo occupato per non pagare il canone ma per poter pagarne uno giusto e lo si può ottenere solo organizzandosi diventando più forti dei padroni. Perché è stato fatto questo volantino ? per portare a conoscenza ai lavoratori e agli abitanti del quartiere che sono nelle nostre stesse condizioni a prendere esempio e a organizzarsi per combattere i padroni di casa come tante famiglie hanno fatto qui. Chiediamo la solidarietà di tutti per combattere le speculazioni e l’aumento del tenore di vita che ci induce a vivere in condizioni precarie.”.

 

La vita in una casa occupata

La vita in una casa occupata determina una situazione completamente nuova. L’edificio si trasforma in uno spazio “liberato” al cui interno il potere normativo statale è di fatto sospeso. La comunità degli occupanti deve darsi nuove regole, condivise da tutti, e questa è la sfida principale. Occorre stabilire una linea comune da utilizzare nei confronti della proprietà e del quartiere, individuare i comportamenti leciti e illeciti e le sanzioni nei confronti di chi non rispetta le regole (normalmente l’espulsione dalla casa), ma anche, più banalmente, stabilire turni di pulizia degli spazi comuni e regole per alimentare l’eventuale cassa comune.

L’impresa non risulta sempre facile. Tende inevitabilmente a crearsi una dialettica tra chi vive nella casa e chi solo frequenta le attività sociali ma soprattutto, nell’ambito degli abitanti, tra i “compagni” e le “famiglie”.

Se i “compagni”vivono l’occupazione come un’esperienza esaltante, prodromo di quella rivoluzione sociale che in questi anni sembra dietro l’angolo e partecipano in genere alle attività sociali e politiche (o, perlomeno, sono sufficientemente presenti alle periodiche assemblee degli occupanti) le “famiglie”, una volta risolto il problema immediato dell’alloggio, tendono a disinteressarsi della vita comune.

Questa ambivalenza si coniuga ovviamente in modo diverso nelle diverse esperienze. Così se in via Torricelli le “famiglie” sono sufficientemente presenti alle assemblee degli occupanti (denominate “comitato d’occupazione”), in via Conchetta (a causa anche del trasferimento progressivo nei più spaziosi locali di via Torricelli di quasi tutte le attività sociali) il comitato d’occupazione finirà praticamente per non riunirsi più. In via Correggio 18, agli inizi degli anni ’80, le “famiglie” non partecipano praticamente mai all’assemblea settimanale.

Talvolta l’origine sottoproletaria di diverse “famiglie” genera problemi interni di difficile gestione.

Così nel corso del 1979 in via Torricelli si scopre che un paio di occupanti spacciano stupefacenti e svolgono altre attività mafiose, il Comitato di occupazione  decide di espellerli.

L’operazione avviene apparentemente senza resistenze ma si apre un periodo di tensione. Qualche mese dopo degli sconosciuti sparano ad un occupante sulle scale di casa (si sospetta una vendetta degli espulsi nei confronti di un “amico” che non aveva solidarizzato con loro) e verso le due del mattino di sabato 10 novembre 1979 un ordigno esplosivo scardina la saracinesca del Centro sociale anarchico facendola volare fino all’altro lato della via. È un puro caso che non si registrino vittime (4).

L’attentato non è mai stato rivendicato e quindi si sospetta una vendetta dei mafiosi, anche se non si può escludere un attacco fascista.

Sintomatico anche il caso del quartiere Stadera, dove si verifica nel corso degli anni un ampio movimento spontaneo di occupazione di alloggi IACP, che in alcuni momenti saprà esprimere (come vedremo) importanti momenti di organizzazione e di lotta. Un movimento però accanto al quale convive la lucrosa attività di alcuni personaggi che occupano gli alloggi al fine di “venderli” a famiglie bisognose.

 

Il Coordinamento di lotta per la casa

All’interno del Centro Sociale nel corso del 1979 si costituisce il Comitato di lotta per la casa per rilanciare le occupazioni.

Il Comitato svolge un censimento degli alloggi sfitti in Ticinese e dà inizio ad una lunga serie di occupazioni di singoli alloggi e di interventi contro le vendite frazionate in via Torricelli, via Pavia, via Custodi 14, via Bligny 42, corso S. Gottardo 14, piazza XXIV Maggio…. Se alcune occupazioni terminano dopo poche ore con l’arrivo della polizia che sgombera gli alloggi e porta gli occupanti in questura, nella maggior parte dei casi le occupazioni si consolidano e i proprietari si trovano costretti a regolarizzarle con un contratto di affitto. Gli interventi contro le vendite frazionate si risolvono invece in genere in un insuccesso, di fronte alla minaccia dello sfratto gli inquilini preferiscono acquistare l’alloggio accollandosi così le onerose spese di ristrutturazione.

Da notare anche un progressivo cambiamento nelle tecniche di occupazione. Se nel periodo 1975-77 le occupazioni avvengono “alla luce del sole” con corteo, bandiere, striscioni, volantini e immediata rivendicazione, alla fine del decennio, dopo il sequestro Moro (marzo-maggio 1978), il clima è completamente mutato. La città è militarizzata e blindati della polizia sostano in permanenza agli angoli più trafficati.

Una delle ultime occupazioni “alla luce del sole” è sicuramente quella di alcuni appartamenti in via Raffaello Sanzio 8 il 17 febbraio 1979, ma ormai si tende a passare a meno impegnative occupazioni “alla spicciolata”, gli occupanti entrano cercando di farsi notare il meno possibile all’esterno, prendono contatto con gli altri inquilini dello stabile per acquisirne il consenso e l’occupazione viene pubblicamente rivendicata solo dopo alcuni giorni di “consolidamento”.

Questa trasformazione è determinata dalla progressiva riduzione del numero dei militanti (all’epoca non ancora percepibile), dalla sempre minore tolleranza delle forze dell’ordine, dal progressivo passaggio dall’occupazione di interi stabili (ormai quasi tutti saturati nella fase precedente) all’occupazione di alloggi singoli.

Il fatto che ora si occupino alloggi singoli (o gruppi di 3-4 alloggi) rende ancora più difficile mantenere stabili legami con le “famiglie”.

Viene costituito un Coordinamento cittadino di lotta per la casa con sede in via Correggio 18 a cui partecipano oltre al Comitato di lotta “Ticinese-Genova” (con sede prima in via Torricelli 19 e poi in via Savona 13), il Comitato di lotta S. Siro (piazza Selinunte 3, attivo nell’occupazione di case popolari), il Circolo Romana (corso Lodi 8), le occupazioni di via Rembrandt e via Sanzio  mentre altre realtà partecipano saltuariamente alle iniziative. La composizione ideologica dei militanti è abbastanza variegata: prevalente l’area libertaria con presenze genericamente riconducibili all’area dell’autonomia ed il polo internazionalista del Circolo Romana (facente capo alla rivista “il Programma Comunista” e poi “Combat”).

Il Coordinamento interviene a sostegno delle singole realtà di quartiere e promuove altre occupazioni come in via Farini 8 (dove la proprietà tenta di cacciare gli occupanti ricorrendo persino a minacce a mano armata).

Particolarmente importante l’intervento nel quartiere Stadera, qui si era sviluppato negli anni precedenti un movimento spontaneo di occupazione di singoli alloggi IACP, il tentativo da parte dell’Istituto di procedere il 13 settembre 1982 ad una serie di sgomberi provoca un vero e proprio sommovimento popolare. Via Montegani viene bloccata per alcuni giorni da un presidio spontaneo, si organizzano assemblee e manifestazioni, un comitato si costituisce in via Palmieri 6. La mobilitazione obbligherà l’Istituto a rinviare gli sgomberi ed una sanatoria regionale finirà poi per regolarizzare buona parte degli occupanti (5).

Il Coordinamento cerca anche di superare i limiti cittadini, vengono stretti contatti a livello nazionale ed il 26 giugno 1980 si tiene un convegno a Firenze a cui partecipano il Comitato proletario casa di quella città e realtà di Mestre e Padova.

 

 

Tecniche di occupazione

Occupare una casa è un’attività che non si improvvisa e che diventa più complessa mano a mano che si passa dall’occupazione di interi stabili a quella di singoli alloggi. L’occupazione vera e propria viene preceduta da una lunga fase preparatoria. Interi pomeriggi vengono impiegati a monitorare il quartiere per individuare gli alloggi sfitti, talvolta vengono fatte interviste famiglia per famiglia in intere vie per individuare non solo gli alloggi sfitti ma anche i problemi dell’inquilinato (affitti irregolari, vendite frazionate…). Talvolta anche la consultazione dei documenti dei consigli di zona fornisce utili indicazioni. Una volta individuati gli appartamenti palesemente inutilizzati si passa alle verifiche prima all’ufficio del Catasto (per individuare il nome del proprietario) e poi all’ufficio del Registro (per individuare eventuali successivi passaggi di proprietà). Si preferisce infatti procedere all’occupazione di alloggi di proprietà di società immobiliari (che li tengono sfitti per motivi speculativi) piuttosto che di piccoli proprietari, nei cui confronti l’occupazione risulta insostenibile sia sul piano politico che, spesso, su quello umano. Su come occupare una casa viene anche realizzato un manualetto più volte ristampato nel corso degli anni.

 

Vittorie e sconfitte

Grazie alla costante mobilitazione gli occupanti di via Torricelli 19 riescono ad ottenere che il Comune acquisisca lo stabile (1979 circa); gli accordi prevedono che l’edificio venga ristrutturato, gli occupanti (centro sociale incluso) regolarizzati e trasferiti in altri locali, cosa che avviene a giugno 1981. Dopo la ristrutturazione ex occupanti e centro sociale sono tornati nello stabile. Anche in via Conchetta 18, dopo un fallimentare tentativo da parte della proprietà di procedere alle vendite frazionate, l’edificio viene acquisito dal Comune e gli occupanti ottengono una casa popolare. Il Centro sociale (dopo una lunga serie di vicende che travalicano l’ambito di questa ricerca) è ancora occupato.

Diversa la storia di via Correggio 18: vasta area di proprietà privata viene vincolata fin dal 1976 ad uso sociale proprio grazie alle lotte degli occupanti. A causa delle colpevoli omissioni del Comune la proprietà riesce a tornare in possesso dello stabile e il 15 maggio 1984 la casa viene sgomberata dalla polizia. Gli ex occupanti non si perdono d’animo e iniziano una lunga vertenza contro il Comune. Dopo oltre un anno la lotta si concluderà (in modo non del tutto soddisfacente) con la concessione di alcuni alloggi popolari (6).

 

Qualche conclusione

Quali conclusioni trarre da questo breve e incompleto spaccato di vita milanese ? I nove anni presi in considerazione si situano in un periodo denso di cambiamenti che va dal momento di massimo sviluppo del “movimento del 1977” ai successivi anni del “riflusso”, segnati dal pesante clima repressivo che, col pretesto di colpire il terrorismo, finisce per rivolgersi contro ogni forma di opposizione sociale. Anni questi ultimi non facili, segnati da gravi arretramenti proletari come la sconfitta della lotta della FIAT (ottobre 1980) ma anche da segnali di ripresa come la clamorosa contestazione in piazza Duomo del segretario della UIL Benvenuto (1 luglio 1980).

La politica governativa sulla casa segue il medesimo ciclo. I vasti movimenti di lotta degli anni ’70 inducono i governi  di “solidarietà nazionale” (sostenuti dall’astensione del PCI)  a varare nel biennio 1977-78 una serie di provvedimenti che si propongono l’ambizioso progetto di consacrare il controllo statale nel settore: oltre al già citato Equo canone (L. 392/1978), sono la Legge Bucalossi (L. 10/1977) che subordina il diritto di costruzione ad una concessione comunale e il Piano Decennale Casa (L. 457/1978). Un progetto rapidamente affondato dalla crescente aggressività della proprietà immobiliare che pretende la piena liberalizzazione del settore e che riesce ad ottenere effettivamente una progressiva deregolamentazione nel corso degli anni ’80,  un punto importante di svolta è la Legge Nicolazzi (L. 94/1982) che introduce il “silenzio-assenso” e smantella parte della legislazione vincolistica precedente..

Come abbiamo visto il movimento di lotta per la casa nasce dall’incontro tra settori militanti formatisi nelle lotte operaie e studentesche degli anni precedenti ed aree popolari in genere prive di esperienze politiche e sindacali e ottiene i migliori risultati quando riesce ad applicare la pratica dell’azione diretta ad un bisogno sociale diffuso (occupazioni, resistenza agli sfratti, autoriduzione degli affitti).

Fallimentare la lotta contro le vendite frazionate che peccava di eccessivo ideologismo. Chiamare gli inquilini all’unità di classe contro le speculazioni della proprietà è risultato perdente. Di fronte all’alternativa tra l’acquisto del proprio alloggio (pur fatiscente) ed un futuro sfratto la prima soluzione ha finito inevitabilmente per imporsi (e visto l’attuale livello del mercato immobiliare non si può neanche dire che sia stata una scelta sbagliata in termini economici).

Significativo l’atteggiamento assunto nei confronti dell’Equo canone, la legge viene in principio attaccata poiché pone termine al blocco dei fitti ed apre le porte ad una valanga di sfratti. Ben presto però, di fronte all’aggressività della proprietà immobiliare, che cerca di imporre ovunque affitti “in nero”, ci si trova costretti a fare dell’Equo canone una sorta di ultima linea di difesa (7).

 

Le occupazioni si pongono sempre l’obiettivo dell’ottenimento di un contratto regolare. Obiettivo molto spesso raggiunto (“la lotta paga”), ma la regolarizzazione porta in genere con sé la fine della lotta (almeno in quel caseggiato).

Una linea tendente a finalizzare l’occupazione al suo mantenimento puro e semplice nell’illegalità non viene, in questo periodo, teorizzata praticamente da nessuno. Il movimento vuole essere, e spesso riesce ad essere, di massa coinvolgendo ampi settori non politicizzati, una posizione “estremista”l’avrebbe isolato riducendolo a ristrette elites rivoluzionarie.

Nella fase iniziale la parola d’ordine della richiesta del contratto d’affitto (un affitto comunque “politico”, commisurato alle tasche proletarie) come obiettivo dell’occupazione appare come uno strumento idoneo per aggregare ampi consensi. Si crede nel carattere pedagogico che la partecipazione alla lotta avrà sui proletari non politicizzati, si è consapevoli dei limiti di una rivendicazione puramente sindacale ma si ritiene che il carattere parziale delle lotte possa essere riassorbito nel processo rivoluzionario (apparentemente) in corso.

“In LINEA GENERALE – recita un documento stilato in via Conchetta nell’agosto-settembre 1977 ed ampiamente condiviso- il Collettivo deve tendere a vivere nelle lotte del quartiere, con l’intento di fungere al 1oro interno da elemento rivoluzionario e anarchico.

Questo significa:a) rifiutare in ogni momento il ruolo dell’avanguardia, che riproduce la delega e impedisce l'autorganizzazione delle lotte,.‑ In, questo senso occorre abbandonare la dirigenza delle lotte o dei momenti di organizzazione (ad es,assemblee di caseggiato) per favorire, al contrario, la presa di coscienza autonoma delle masse (inquilini e lavoratori, disoccupati sottoccupati, massaie ecc.) ‑ b) spingere affinché le lotte abbiano obiettivi rivoluzionari e non si fermino a obiettivi intermedi. Su questo punto occorre fare molta chiarezza: i proletari, abituati dai sindacati alla logica riformista, spesso tendono a considerare conclusa la lotta ove si sia raggiunto il primo obiettivo (cesso migliore, revoca dell’aumento dell'affitto ecc.) [è] nostro compito agire affinché ciò non succeda perché. logicamente. ogni obiettivo è parziale all'infuori della rivoluzione.”

Nella successiva fase del “riflusso” e degli “anni di piombo” in cui il movimento è sempre più costretto sulla difensiva la richiesta del contratto appare come l’unica linea concretamente praticabile.

Inutile dire che questa linea viene considerata eccessivamente “riformista” da alcuni settori radicali del movimento, con il consueto corredo di accuse e contraccuse su chi sia il vero depositario dell’ortodossia rivoluzionaria.

Nel frattempo la composizione sociale della metropoli va mutando: il decennio 1971-1981 vede l’allontanamento da Milano di 114.000 persone, per lo più proletari, mentre contemporaneamente la percentuale di proprietari di case in città cresce dal 25 al 40 % (8).

 

 “Si sta accelerando l’opera di bonifica-assoggettamento della condizione proletaria sul territorio metropolitano – si legge in un’analisi del giugno 1982 – […] mentre procede, relativamente indisturbato, il processo della trasformazione da inquilini a proprietari di una fetta consistente d’abitanti, creando così le premesse per il rafforzamento d’una area sociale e politica futura massa di manovra neoconservatrice […] l’attacco […] ha sostanzialmente tre direttrici […] la prima consiste nell’evitare l’accorpamento politico-sociale di frazioni di proletariato tramite il raffreddamento del problema sfratti che vengono centellinati […] secondo la logica della governabilità sociale […] La seconda si rivela nell’intervento nel settore case popolari dove delle certezze e dei miraggi vengono mandati in frantumi. L’ultimo illuminante esempio è stato, da una parte, il recupero accelerato della morosità accumulata grazie alle autoriduzioni sui canoni d’affitto, dall’altra la dimostrazione, spettacolare, dell’impossibilità di continuare ad occupare, in modo clamoroso e massiccio, le case popolari senza ricevere cospicue dosi repressive. […] la riproduzione della guerra tra poveri nell’occupazione delle torri di via Santander ha permesso all’IACPM di determinare un quadro di consenso attorno alle misure repressive adottate nei confronti degli occupanti abusivi, accusati di soffiare gli alloggi ai legittimi assegnatari  […]” la terza direttrice consiste nell’intervento sul patrimonio edilizio degradato “il vero volto dell’intreccio amoroso d’intenti tra Amministrazione Comunale e proprietà privata si palesa, in modo netto, nei casi appunto del degrado avanzato dove solo la presenza delle occupazioni abusive ha permesso un rallentamento dello sfascio ed ha arrestato, in parte, lo schiacciasassi della speculazione edilizia, particolarmente tentata nelle zone, redditizie, centrali e paracentrali di Milano. Grazie all’incuria della proprietà privata e alla latitanza dell’Amministrazione Comunale molti fabbricati, circa una novantina, rasentano lo stato di pericolo effettivo per gli abitanti. Per questo motivo i primi sgomberi avvenuti in questo campo, premianti la lunga attesa dei padroni, hanno avuto una sorta di legittimità nell’essere effettuati tenendo presente che, per una parte degli abusivi toccati, v’è stata la pillola indoratrice di soluzioni abitative alternative  […]”(9).

 

La ristrutturazione degli edifici degradati – scrive Wobbly - “viene affrontata con l’applicazione della legge Nicolazzi che, con il suo permissivismo normativo ed il suo esplicito avvallo politico alla speculazione edilizia, ha visto raddoppiare l’iniziativa degli operatori privati […]” rimosse le norme più rigide e vincolanti ora si procede con allettanti accordi tra l’Amministrazione Comunale e la proprietà che “in cambio di una minuscola quota d’alloggi gestita secondo criteri formulati dal Comune, dà via libera all’innalzamento spregiudicato dei canoni d’affitto o alla vendita frazionata, dopo il risanamento, a prezzi stellari degli appartamenti” (10).

 

Mauro De Agostini

 

NOTE

I volantini e i documenti citati, ove non altrimenti indicato, appartengono alla collezione privata dell’autore.

UN = Umanità nova settimanale anarchico.

(1) cfr. M. Preite, Edilizia pubblica in Italia : dalla ricostruzione al piano decennale, Firenze, Vallecchi, 1979

(2) Varrebbe veramente la pena di scrivere la storia di ogni singola occupazione, per dare ragione della ricchezza espressa dal movimento in questi anni; il Leoncavallo – scrive Primo Moroni “è stata un’occupazione unitaria, diretta espressione di organismi politici adulti, formatisi negli anni successivi al ’68. […] la scelta da parte di tutte queste forze d’occupare unitariamente lo stabile [una fabbrica dismessa che copre 3.600 mq] avviene perché ci si era resi conto che l’ottica della fabbrica aveva invaso il sociale e che quindi bisognava creare dei luoghi di riferimento nei quartieri che funzionassero da cuscinetto tra le organizzazioni e la società civile” (P.Moroni, il contesto storico http://www.ecn.org/leoncavallo/storic/moroni.htm )

L'occupazione di Via Correggio 18, realizzata dal Comitato di Quartiere Magenta “venne fatta attorno al 10 aprile 1975, nei giorni in cui venivano uccisi Varalli e Zibecchi. La novità, per i gruppi [della sinistra extraparlamentare], era che c'erano anche occupanti giovani e politicizzati, mentre di solito si trattava di famiglie rigorosamente proletarie (cioè, secondo il cliché dell'epoca, meridionali e con molti figli).[…] L'idea era che la famiglia avesse più possibilità di resistere in caso di minaccia di sgombero, facendo leva sulla situazione "oggettivamente" difficile dei soggetti. Si intrattennero lunghissimi ed estenuanti rapporti con il Consiglio di Zona 6 (Magenta-Sempione) […]” (testimonianza di un ex occupante all’autore).

(3) La casa è di chi l’abita, A rivista anarchica, ottobre 1976.

(4) Attentato contro centro sociale anarchico, A rivista anarchica, dicembre 1979-gennaio 1980.

(5) C. Scarinzi, Comunità proletaria e lotta per la casa, UN, 3 ottobre 1982; Milano: continua la lotta per la casa,UN, 31 ottobre 1982.

(6) la storia dello sgombero e della successiva lotta di via Correggio è abbastanza ben documentata su Umanità nova del periodo; cfr. in particolare i nn. Del  27 maggio, 3 giugno, 10 giugno, 21 ottobre,  4 novembre, 18 novembre 1984, 17 marzo, 7 aprile, 2 giugno e 20 ottobre 1985. Numerosi erano gli organismi che operavano in via Correggio, tra questi ricordiamo il giornale Wobbly e i coordinamenti di precari che vi facevano riferimento ed il Virus sulle cui vicende cfr. M. Philopat, Costretti a sanguinare Romanzo sul punk 1977-84, Milano, ShaKe, 1997.
(7) cdl Ticinese-Genova, L’Equo canone alla resa dei conti, UN, 3 marzo 1983; “Equo canone” tempo di aumenti, UN, 29 settembre 1983; cdl Ticinese- Genova, Verso la revisione dell’equo canone, UN 27 maggio 1984.

(8) Emergenza casa, Wobbly foglio di lotta del precariato sociale, novembre 1982.

(9) Fabio, Non ancora domati, UN, 20 giugno 1982.   

(10) Emergenza casa cit.